Il 22 aprile il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è arrivato a Baghdad, dove ha incontrato il presidente iracheno Abdul Latif Rashid e il primo ministro Muhammad Shiya al-Sudani, nella sua prima visita di Stato in Iraq in 13 anni.

IL FOCUS dei colloqui è stato il Development Road Project, un’iniziativa da 17 miliardi di dollari che prevede la costruzione di un collegamento ferroviario e stradale di 1.200 km dal porto iracheno di Faw, a Bassora, fino alla porta di confine di Ovaköy attualmente in costruzione.

«La Turchia è stata esclusa dall’Imec (Indian Middle East Economic Corridor) durante la riunione del G20 tenutasi in India lo scorso luglio. È stato un duro colpo geostrategico per il paese ponte tra Asia ed Europa nella storica Via della Seta. Se l’Imec dovesse essere implementato, non solo distruggerebbe l’economia della Turchia, ma anche la sua importanza geostrategica. Il potere politico richiede potere economico ma l’aggressiva politica interna ed estera di Erdogan negli ultimi 22 anni ha portato il paese alla rovina», ci spiega Nilüfer Koç, politica curda e componente dell’esecutivo del Knk, Congresso Nazionale del Kurdistan, che ha recentemente pubblicato un’analisi sull’uso della Development Road come strumento nella politica espansionista turca.

Secondo l’analisi del Knk la Turchia ha legato il progetto al sostegno del governo iracheno alle operazioni contro il Partito dei lavoratori del Kurdistan. Non a caso alla vigilia dell’incontro il governo centrale iracheno aveva dichiarato il Pkk «organizzazione bandita» e non autorizzata a svolgere attività politica su suolo iracheno, mossa prettamente simbolica considerando che è già de facto clandestina.

IL 16 APRILE l’esercito turco ha lanciato una massiccia operazione volta a espugnare l’area montuosa di Gare, roccaforte strategica del Pkk in Iraq. I funzionari turchi hanno dichiarato che l’occupazione di Gare è fondamentale per la realizzazione del progetto. Secondo il Knk, l’obiettivo dell’operazione è stabilire l’assoluto controllo militare della Turchia tra la porta di Ovaköy e Mosul in modo da isolare l’unica porta di confine tra Rojava e Regione del Kurdistan in Iraq, chiudendo così l’assedio sull’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est.

«L’Iraq dovrebbe essere uno Stato forte, sovrano e unito per potersi opporre agli interventi stranieri. Anche quando l’Isis è arrivato nel 2014, il governo iracheno non è riuscito a proteggere il paese. Se il Pkk non avesse reagito a Maxmur e Kirkuk e le Ypg a Shengal, oggi il califfato che Erdogan vuole sarebbe stato stabilito sulla linea di confine tra Iraq e Siria», commenta Nilüfer Koç.

«Per capire perché l’Iraq non possa resistere oggi alla Turchia è necessario comprendere la nuova situazione iniziata negli anni ’90 e la posizione prevista per l’Iraq. Qui tutti corrono con i loro cavalli, è un luogo in cui il diritto internazionale non esiste. Si chiama Stato, ma è una pedina nelle mani di tutti. Certo, è membro delle Nazioni unite, ha un primo ministro e un presidente, ma la politica interna dipende sempre da equilibri esterni», aggiunge Koç.

In questo contesto, la Turchia ha stabilito nel corso degli ultimi anni almeno 87 basi militari e vaste reti stradali di collegamento a profondità comprese tra i cinque e gli 80 chilometri nella Regione del Kurdistan in Iraq, potendo contare sul supporto della famiglia Barzani, a capo del partito Kdp.

«LA MENTALITÀ del Kdp è ancora quella del secolo scorso, patriarcato e tribalismo. Tuttavia la maggioranza assoluta dei curdi oggi è a favore della democrazia e mette in discussione il Kdp, che per rimanere al potere opera secondo il motto “il nemico del mio nemico è mio amico” e collabora con l’acerrimo nemico, il regime turco – conclude Koç – Credo che Erdogan sia vicino alla fine. I curdi, insieme all’opposizione turca, hanno inferto un duro colpo al governo nelle elezioni locali. Per affermarsi in politica interna ed estera, deve compiere un passo radicale. Come al solito, si tratta della guerra contro i curdi».