Il procuratore distrettuale di Manhattan Alvin Bragg ha detto al gran giurì che valuta le accuse contro Donald Trump di non riunirsi, come previsto, nella giornata di ieri.

LA RAGIONE del ritardo non è chiara visto che, secondo più fonti, è da venerdì che Bragg è pronto a formalizzare le accuse contro l’ex presidente, e ciononostante ha ascoltato la testimonianza dell’alleato di Trump Robert Costello, il cui intento era screditare il testimone chiave dell’accusa: l’ex avvocato personale del tycoon Michael Cohen. Cohen è il principale testimone nelle indagini sui soldi versati per comprare il silenzio della pornostar Stormy Daniels, che l’avvocato ha detto di aver pagato su indicazione di Trump durante gli ultimi giorni della campagna presidenziale del 2016, per impedire a Daniels di rendere pubblica la loro “storia di una notte”.

LA TRASFORMAZIONE di Cohen da avvocato e fixer, risolvi problemi di fiducia, a principale antagonista di Trump ha sconvolto per prima cosa la sua vita. È andato in prigione per 13 mesi e poi ai domiciliari per più di un anno, ha sopportato anni di attacchi da parte dei fedelissimi di Trump e dello stesso tycoon. La sua relazione con Trump ha sfumature shakespeariane. Figlio di un sopravvissuto all’Olocausto, Cohen era un grande fan di Trump prima ancora di andare a lavorare per lui, lavoro che aveva ottenuto nel 2006 difendendo a spada tratta il tycoon in una riunione del consiglio di condominio di un edificio di Trump. «Avrei fatto qualsiasi cosa per lui. Sentivo come un dovere coprire le sue malefatte», ha Cohen fra le lacrime dopo la sua condanna nel 2018.

HA POI TESTIMONIATO per 7 ore in un’udienza al Congresso nel 2019, descrivendo Trump come un bugiardo, un imbroglione, un razzista di cui subiva il fascino. Parte del suo ruolo era anticipare i capricci e i desideri dell’ex presidente, di cui interpretava le intenzioni attraverso quella che Cohen ha definito una comunicazione «in codice». «Lui era il mio faro», ha detto ai pubblici ministeri federali del consigliere speciale Robert Mueller che indagava sul Russiagate. Anche in quel caso la sua testimonianza è stata fondamentale e preveggente: «Se Trump dovesse perdere le prossime elezioni, non pensiate che assisteremo a un passaggio di poteri pacifico».
Le testimonianze di Cohen sono state anche l’impulso per l’indagine del procuratore generale di New York sulle pratiche commerciali della la Trump Organization, accusata di aver gonfiato il suo patrimonio per miliardi di dollari.

COHEN HA INCONTRATO i pubblici ministeri di New York per il caso Daniels circa 20 volte e ha testimoniato davanti al gran giurì di New York fornendo documenti che rafforzano la sua testimonianza, ma il suo cambio di rotta – da cane da guardia a nemico giurato – era già avvenuto quando, nell’aprile 2018, l’Fbi aveva perquisito li suo ufficio, la casa e una camera di albergo dove alloggiava con la sua famiglia. Una bomba politica: l’avvocato personale di un presidente in carica era oggetto di un’indagine federale su un probabile reato da lui commesso e coperto.
A quel punto tutta la vita di Cohen era implosa, inclusa quella privata, le spese legali salivano e i funzionari della Trump Organization esitavano a pagarlo, e da Trump, l’uomo che aveva sempre idolatrato, Cohen aveva ricevuto solo una telefonata: «Sii forte».

ORA, PERÒ, è il turno di Trump di essere forte, e il tycoon sembra intenzionato a voler proseguire con lo stile teatrale che lo caratterizza: ieri, secondo fonti anonime informate dei fatti, ha detto ai suoi consiglieri che, se verrà incriminato, spera di essere portato in tribunale in manette. Visto che deve andare in tribunale e consegnarsi alle autorità per le foto segnaletiche e il rilevamento delle impronte digitali tanto vale, ha detto, trasformare tutto in uno «spettacolo», proiettare un’immagine di sfida, di vittima di quella che chiama la «caccia alle streghe» e galvanizzare la sua base per la campagna presidenziale 2024. Invece qualsiasi accordo, come fare la sua prima apparizione in tribunale tramite collegamento video o entrare in tribunale dalla porta sul retro, lo farebbe sembrare «un perdente».
Se venire ammanettato non dovesse essere abbastanza, Trump ha anche detto che non gli importa che qualcuno gli spari, perché così di certo – da «martire» – vincerebbe le elezioni.