Voci letterarie dall’Iran, dalle strade di Teheran alle lontane province
Libri Dai giovani sotto i trent'anni al «Ventre sepolto» Aliyeh Ataei, pagine persiane che rivendicano il loro spazio di vita e libertà
Libri Dai giovani sotto i trent'anni al «Ventre sepolto» Aliyeh Ataei, pagine persiane che rivendicano il loro spazio di vita e libertà
Se perdersi è la cifra dell’uomo moderno, Mani è un uomo che si è perso in una Teheran tentacolare. Si è perso a causa dell’emigrazione decisa dal padre «perché non c’era altra scelta». Si è perso per la disforia di genere, che emerge qui e là nel racconto. Si è perso a causa dell’abuso di stupefacenti e, successivamente, di medicinali somministrati nella clinica dove viene ricoverato per disintossicarsi. È lui il protagonista di Ventre sepolto, il romanzo di Aliyeh Ataei pubblicato da Utopia (pp. 208, euro 18). Attorno a Mani si delineano altri personaggi, tra cui la moglie Negin che riesce a ottenere il divorzio dopo aver dimostrato che il marito non può avere figli; e l’amica Sanaz che, per sfuggire alla miseria, frequenta un ragazzo ricco che la tradisce. Ventre sepolto è una critica all’arrivismo della classe media urbana, e al consumismo.
Racconta di una famiglia che proviene da una provincia, non si sa quale, probabilmente afgana. Vengono considerati poveri, eppure appartengono alla classe media: Mani è un ingegnere e frequenta amici che si atteggiano a intellettuali. Raccontandone le vicende, l’autrice riesce a rappresentare la migrazione afgana sotto una luce diversa, per una volta non soltanto quella della classe operaia. Un romanzo che pare il monologo di un malato psichiatrico, con un ritmo non facilissimo per il lettore italiano. Nata in Iran nel 1981 e cresciuta nell’area orientale del paese, al confine con l’Afghanistan, Ataei è una scrittrice di successo, vive a Parigi ma non ha tagliato i ponti con il paese d’origine. Continua a scrivere in persiano e, a tradurre questo suo testo, sono stati Harir Sherkat e Giacomo Longhi.
Sempre a Giacomo Longhi si devono l’ideazione e la cura di un originale lavoro sulle nuove generazioni iraniane che vale la pena ricordare: Iran Under 30 (Polidoro Editore, pp. 240 euro 16). Il volume raccoglie per la prima volta, non solo in Italia, dodici racconti – tradotti dal persiano da Melissa Fedi e Federica Ponzo – di scrittrici e scrittori iraniani nati tra gli anni Novanta e i primi Duemila, dandoci la possibilità di accedere direttamente all’immaginario di ragazze e ragazzi che vivono a Teheran, a Isfahan e anche in province remote come Zahedan (Iran sudorientale), e che conciliano con estrema naturalezza la cultura persiana con l’appartenenza a un mondo ormai globalizzato.
Sono racconti, questi, a volte delicati e a volte surreali, che ci restituiscono una rappresentazione più sfaccettata e profonda della gioventù iraniana spesso rappresentata come perennemente ribelle al sistema, solo in bianco e nero. Iran Under 30 porta così il lettore a conoscere scenari inediti, urbani e rurali, dove le libertà devono essere negoziate su base quotidiana, spesso dissimulando e senza alzare la voce, dove si celebrano l’amicizia e l’amore, dove si sentono forti gli effetti della pandemia (non a caso, molti racconti sono stati scritti tra il 2020 e il 2021).
In una Repubblica islamica in cui il consumo di stupefacenti è un problema serio, gli iraniani si aggrappano «allo splendore perduto dell’impero persiano: il cilindro di Ciro il Grande (m. 528 a.C.), Persepoli, l’antico Iran». E si appellano «alle iscrizioni incise sulla pietra per raccontare agli stranieri ciò che siamo stati». Così scrive Nila, pseudonimo di una giovane iraniana impegnata nella lotta al patriarcato, nel volume Nelle strade di Teheran appena dato alle stampe (traduzione dal francese di Vincenzo Barca, Gramma Feltrinelli, pp. 112, euro 15).
Anche lo storico Lloyd Llewellyn-Jones, docente all’Università di Cardiff e direttore dell’Ancient Iran Program for the British Institute of Persian Studies, osserva nel suo volume I persiani. L’età dei Grandi Re (traduzione di Valerio Pietrangelo, Einaudi, pp. 452, euro 35) come «i giovani iraniani stiano facendo di Ciro della stirpe degli achemenidi il loro simbolo» e di come l’antico sovrano «potrebbe rivelarsi il catalizzatore in grado di spingere il paese verso un’epoca nuova».
Dopo aver evidenziato il contributo dell’Iran alla civiltà mondiale, lo studioso racconta una storia della Persia antica che si differenzia dalle altre perché utilizza fonti persiane antiche, autentiche e autoctone. Quella che offre ai lettori è quindi la storia come viene narrata dagli stessi persiani, vista dall’interno. Il risultato è una novità per il lettore italiano: «Lungi dall’essere i barbari dell’immaginario greco, i persiani qui emergono come un popolo culturalmente e socialmente sofisticato, economicamente forte, militarmente potente e intellettualmente dotato».
Dello stesso tenore è stata l’opera dell’iranista veneziana Anna Vanzan (1955-2020) che l’architetto e traduttore dall’italiano al persiano Abolhassan Hatami aveva intervistato nel primo volume Simorgh. Trenta interviste con iranisti italiani (ISMEO, pp. 276, euro35). Nel capitolo a lei dedicato, Vanzan spiegava come la sua attività di traduttrice dal persiano fosse nata «per combattere i pregiudizi sull’Iran in generale e sulla cultura delle donne»: negli anni Novanta c’era stato «qualche tentativo di dar voce alle iraniane, ma era stato un tentativo colonialista, molto di parte», riferendosi al bestseller «Non senza mia figlia scritto da un’americana che, pur negando la cultura iraniana, bollandola come medievale, mantiene il suo nome da sposata perché questo esotismo le fa vendere più libri». Grazie all’impegno di traduttori e case editrici, oggi per il lettore italiano perdersi nella cultura persiana – affidandosi a letture interessanti – può essere una bella esperienza.
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