Violenze sessuali e domestiche, le donne denunciano ma non hanno «risposte efficaci». Strasburgo condanna l’Italia
Violenza maschile Una lunga serie di moniti e richieste a Roma da parte del Consiglio dei ministri della Corte europea dei diritti umani. E la denuncia «dell'inerzia delle autorità» italiane
Violenza maschile Una lunga serie di moniti e richieste a Roma da parte del Consiglio dei ministri della Corte europea dei diritti umani. E la denuncia «dell'inerzia delle autorità» italiane
Sottovalutazione dei rischi subiti dalle donne che hanno denunciato violenze domestiche e sessuali, «mancata adozione di misure di protezione», «ritardi nello svolgimento degli atti investigativi», «mancanza di indagini sugli episodi di violenza denunciati e eccessiva durata dei procedimenti giudiziari contro gli aggressori». L’ennesima condanna all’Italia da parte della Corte europea dei diritti umani (Cedu) arriva – per «risposta inefficace alle denunce», in sintesi – in seguito ai ricorsi presentati da tre donne italiane che hanno cercato giustizia a Strasburgo non avendola trovata in patria. Il Consiglio dei ministri della Cedu ha appurato «violazioni degli articoli 2 e 3 della Convenzione a causa dell’inerzia delle autorità nel gestire le denunce di violenza domestica presentate dai ricorrenti».
Le richieste del Consiglio d’Europa alle autorità italiane sono di concludere «rapidamente i procedimenti penali contro gli aggressori» di due donne ricorrenti che hanno già vinto la causa davanti alla Corte europea nel giugno 2022, e dà tempo fino al 15 dicembre prossimo per inviare a Strasburgo informazioni sull’esito dei processi.
L’esecutivo dell’organizzazione paneuropea che conta 46 Stati membri sanziona anche la vittimizzazione secondaria di una donna ricorrente «a causa agli stereotipi di genere che caratterizzano la decisione giudiziaria» nel suo caso, ed esprime «preoccupazione per il pignoramento» di un risarcimento danni a una terza vittima, che era stato invece stabilito nell’aprile 2022 della stessa Cedu. I giudici europei, intimando all’Italia il pagamento del risarcimento stabilito in quell’occasione, ricordano che già in precedenza la Corte aveva affermato «che il risarcimento da essa riconosciuto, in particolare per danni morali, dovrebbe essere esente da pignoramento», e invitano «vivamente le autorità italiane a riconsiderare la loro posizione o a dimostrare che la donna e il suo avvocato lo hanno accettato». Nel pronunciamento, Strasburgo chiede perfino «una valutazione delle autorità competenti sulla possibilità di avviare un’indagine sulle minacce di morte ricevute da una delle donne e sui maltrattamenti subiti dai suoi figli».
«I.M. era fuggita di casa nel luglio 2014 con due figli minorenni – racconta l’avvocata Rossella Benedetti, dell’Associazione Differenza Donna – da me assistita nel ricorso 25426/2020 dinanzi alla Corte di Strasburgo che ha condannato l’Italia per il trattamento subito da I.M. e dei suoi bambini in sede civile. Ma la donna è ancora in attesa della conclusione del processo penale che vede il suo ex convivente imputato di maltrattamenti in famiglia. Dopo nove anni si è giunti solo alla sentenza (di condanna) di primo grado. Una risposta assolutamente inefficace che lascia I.M ancora senza giustizia».
Ma al di là dei singoli casi giudiziari, la Cedu rileva che «le informazioni fornite dalle autorità non consentono una valutazione esaustiva della situazione», ed esorta pertanto Roma «a fornire le valutazioni, le informazioni e le statistiche pertinenti». Tanto più perché i dati forniti dall’Italia «mostrano una persistente alta percentuale di procedimenti per violenza domestica e sessuale archiviati nella fase delle indagini preliminari, un uso limitato degli ordini di protezione e un tasso significativo di violazione degli stessi».
Perciò, esprimendo «preoccupazione», la Cedu invita l’Italia (tempo per un feedback fino al 30 marzo 2024) «a proseguire gli sforzi per ampliare e diffondere ulteriormente la formazione mirata e pertinente, con particolare attenzione alla specializzazione dei giudici istruttori»; «ad avviare attività specifiche per promuovere l’uso di un linguaggio giudiziario sensibile al genere»; e a proseguire con azioni concrete nell’attuazione del «Piano nazionale, al fine di sradicare pregiudizi e atteggiamenti che alimentano la violenza e la discriminazione di genere».
Un pronunciamento, quello del Consiglio dei ministri della CoE, che «preoccupa» e insieme sprona le forze politiche. «Grazie alla precedente commissione parlamentare sul femminicidio abbiamo un quadro completo dei problemi e disfunzioni, dalla lunghezza dei processi, agli interventi normativi e misure da adottare in concreto – afferma Luana Zanella, capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera – Ma se non si interviene strutturalmente e con forti investimenti sul sistema giustizia, non se ne esce. Il nuovo monito di Strasburgo deve essere preso molto seriamente dal Governo che deve investire, investire e ancora investire su formazione, giustizia e centri anti violenza. Da questo si misura la volontà di contrastare la piaga della violenza maschile sulle donne».
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