In una parola
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Disertare il patriarcato. E non solo

In una parola La rubrica settimanale a cura di Alberto Leiss
Pubblicato un giorno faEdizione del 12 novembre 2024

Purtroppo avverto in me la tentazione di rispondere “per le rime” alle volgarità da bullo che uno dei vicepresidenti del Consiglio dei ministri (e a quanto di si dice anche ministro dei trasporti) diffonde quotidianamente. Simile reazione mi suscitano anche varie affermazioni della donna Presidente del medesimo Consiglio.

Ma poi rifletto su quel modo di dire, “per le rime”. Evoca la potenza se non la violenza – verbale, beninteso – di una risposta “dura” a qualcuno che se lo merita. Ma poi, insospettito dall’allusione poetica, trovo conferma in rete che l’espressione è erede della antica pratica (ah, il bel tempo andato!) delle tenzoni tra poeti: «Ogni poeta doveva iniziare da dove l’avversario aveva concluso, riprendendo la stessa rima: da qui ebbe origine l’espressione rispondere per le rime». E ciò non vuol certo dire che la poesia non sappia esprimere e suscitare radicali conflitti.

«Ogni poeta doveva iniziare da dove l’avversario aveva concluso, riprendendo la stessa rima: da qui ebbe origine l’espressione rispondere per le rime»

Ma è del tutto evidente che di poetico qui non c’è alcunché. Quindi arrivo, un po’ pomposamente, alla conclusione a cui intendevo giungere. Ignorare! Ignorare, disertare, nel senso di guardarsi dal rispondere. (Ma naturalmente imparare bene da dove originano quelle parole, e dove potrebbero portarci o ci stanno già portando).

Forse sperare che abbia ragione Massimo D’Alema, sentito in tv affermare – provocato da Gramellini a rispondere a Salvini e Meloni – che quel modo di parlare da così alte cariche forse è di per sé controproducente per chi lo usa, magari anche elettoralmente (e ora si vota in Emilia Romagna e Umbria).

Lasciamo che dicano. (Ci si può, con grande circospezione autocritica, consolare del fatto che, nonostante tante abiure e rimozioni, lo “spettro del comunismo” si ostina a ritornare. Chissà che questa sua determinazione non ci induca a riesaminare tutta la faccenda con maggiore gentilezza e cura, e capacità di discernimento…)

Ma vorrei dire qualcos’altro, non del tutto estraneo alle precedenti considerazioni: a un anno dal femminicidio di Giulia Cecchettin e a pochi giorni dal 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ritornano le parole, vecchie e nuove, del padre e della sorella di Giulia. Abbiamo anche ascoltato, sgomenti, la confessione del giovane femminicida.

Giorni fa ho partecipato a una riunione – in un “centro sociale” romano dove brave persone si occupano di ospitare alcune centinaia di famiglie immigrate, e di mantenere spazi accoglienti per attività pubbliche – con una trentina di uomini di tutte le età, numerosi gli studenti liceali e universitari, da tempo impegnati in una riflessione sull’essere maschi in un tempo cambiato dalla rivolta delle donne.

Credo che qualcosa stia maturando.

Ho ascoltato parole consolanti sullo stare attenti a non ricadere subito nella pretesa tutta maschile di mettere rapidamente in ordine un mondo sbagliato, magari attruppandosi dietro uno striscione in piazza (e per carità, chi lo desidera si organizzi). Ma c’era anche l’urgenza di aprire uno scambio pubblico, in vista del 25 novembre, “e oltre”.

Intanto è stato deciso di invitare altri uomini e chiunque volesse intervenire a un secondo incontro che è stato intitolato Disertare il patriarcato, martedì 19 novembre alle 20,30 allo Spin Time di Roma.

Sì, disertare la cultura che produce la violenza, e che in tanti modi diversi ci attraversa tutti. Disertare la guerra, per me un’altra tremenda forma di violenza patriarcale.

Ho visto che un gruppo di persone pacifiche ha realizzato un “monumento al disertore” e che lo porterà da Sanremo in giro per le città italiane. Le ringrazio. Nel mio piccolo, approvo e parteciperò.

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