«In Italia i tassi di accesso all’aborto sono tra i più bassi a livello globale, e questo non lo dico io ma l’Istituto superiore di sanità». Anna Agosta, consigliera nazionale di D.i.Re. – Donne in rete contro la violenza (che si compone di 87 organizzazioni dislocate sul territorio nazionale), dettaglia la posizione della Rete che gestisce Centri antiviolenza e Case rifugio, affiancando oltre 20.000 donne ogni anno. È inoltre presidente del Centro antiviolenza catanese Thamaia.

L’emendamento di FdI che prevede l’ingresso di associazioni pro-life all’interno dei consultori è per voi un attacco alla legge 194.

È un ulteriore attacco, sì. L’obiezione di coscienza è garantita dalla legge ma in tanti territori, penso ad esempio alla Sicilia dove vivo io, non si trovano medici che non siano obiettori, soprattutto nelle strutture pubbliche. In un momento storico in cui in Francia l’interruzione di gravidanza diventa un diritto costituzionalmente garantito, qui da noi basterebbe osservare i dati forniti da Laiga (Libera Associazione Italiana Ginecologi non obiettori per l’Applicazione della 194, ndr) per allarmarsi. Anche i dati del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione ci dicono che tra il 2015 e il 2022 il 40% delle donne del mondo ha meno potere di decidere sul proprio corpo. Come Di.Re. temiamo che la proposta di avere questo tipo di associazioni, che chiamerei contrarie all’aborto e non pro-vita, metta a rischio il diritto delle donne ad accedere all’aborto compromettendo la laicità dei consultori. Fa ben sperare il fatto che un partito come la Lega abbia lasciato libertà di coscienza ai propri iscritti e che l’Ue ieri abbia ritenuto che l’emendamento non sia legato al Pnrr.

La destra ha una lettura opposta della piena attuazione della legge e del funzionamento dei consultori.

L’orientamento politico è chiaro. Abbiamo ascoltato più volte Meloni, ma anche la ministra Roccella, fare dichiarazioni per cui non toccheranno la 194, supporteranno la maternità perché il loro obiettivo è appunto aumentare la natalità. Viene meno un principio fondante e cioè che è la donna a decidere liberamente se portare a termine una gravidanza o no. Perché invece non supportare politiche di welfare? Sono pressoché inesistenti, gli asili nido pochissimi, i congedi parentali per gli uomini ridicoli, il lavoro di cura è tutto sulle spalle delle donne che spesso perdono il lavoro dopo la prima gravidanza, per la seconda non ne parliamo. Infine, se una donna non è madre non è incompiuta.

Se la media degli obiettori tra i ginecologi è di sei su dieci, in molte regioni vi è difficoltà di accesso alla salute delle donne anche per quanto concerne la Ru486.

Vivo a Catania ma ho un osservatorio privilegiato incontrando centinaia di donne ogni anno e molte sono le storie legate alla salute sessuale e riproduttiva. La pillola abortiva molti medici si rifiutano di prescriverla, sempre perché mettono in atto l’obiezione di coscienza.

Come rete siete attente alla erosione di spazi di libertà femminile e state accanto alle donne vittime di violenza. Che valore ha la costituzione di parte civile, insieme ad altre associazioni, al processo apertosi ieri a Palermo sullo stupro al Foro Italico di una diciannovenne?

Per noi è una scelta politica importantissima, l’abbiamo fatto in altri procedimenti come quello contro Genovese a Milano. Un modo per portare una visione politica del fenomeno della violenza maschile sulle donne nelle aule di tribunale, lavoriamo per un cambiamento culturale anche in ambito giudiziario.