Manca un anno alle elezioni presidenziali turche e Recep Tayyip Erdogan lavora alacremente per puntellare un consenso rosicchiato dalla crisi economica, declino percettibile dalla sconfitta alle amministrative del 2019.

QUALCHE MESE DOPO quel voto (nel caso di Istanbul ripetuto con la scusa di brogli, ma perso comunque), a ottobre 2019 la Turchia lanciava una brutale operazione militare contro i territori orientali del Rojava, regione a maggioranza curda della Siria del nord-est. Le truppe turche occuparono città e villaggi, con Gire Spi e Serekaniye punte di diamante della conquista. Quei territori sono ancora occupati, militarmente e politicamente.

All’Amministrazione autonoma, figlia del confederalismo democratico teorizzato dal leader del Pkk Abdullah Ocalan, si è sostituita la gestione jihadista delle milizie alleate di Ankara: il cosiddetto Esercito nazionale siriano (ex Esercito libero, galassia di gruppi armati d’opposizione a Damasco, di matrice islamista radicale), responsabile di continui abusi sui civili, a Gire Spi e Serekaniye come ad Afrin, cantone curdo-siriano all’estremo ovest occupato nella primavera 2018.

Qui la coalizione di governo turca – l’Akp del presidente e gli alleati ultranazionalisti dell’Mhp – intende proseguire con l’operazione di ingegneria demografica imbastita in piena guerra civile siriana attraverso il sostegno a milizie jihadiste e qaediste nella parte settentrionale del paese. Finora il progetto si è tradotto nel trasferimento dei familiari dei miliziani nella provincia occidentale siriana di Idlib – tuttora occupata dall’ex Fronte al-Nusra (oggi Hayat Tahrir al Sham), da residui dello Stato islamico e formazioni jihadiste minori. Stesso destino per Afrin, svuotata quasi del tutto della popolazione originaria (curdi, ma anche ezidi, arabi e aleviti) per far posto alle famiglie dei jihadisti.

ORA IL PIANO si amplia. Erdogan gli aveva già dato voce, ma stavolta appare più concreto. Dieci giorni fa il presidente ha annunciato il trasferimento di un milione di rifugiati siriani (dei 3,7 presenti in Turchia, per cui la Ue ha versato ai turchi sei miliardi di euro) verso Idlib, Gire Spi e Serekaniye.

Nelle stesse ore nella provincia siriana a controllo jihadista – spacciata da Ankara per «zona sicura» – si svolgeva la cerimonia di consegna di centinaia di chiavi delle prime case appositamente costruite dal governo turco (e, pare, da compagnie kuwaitiane e qatariote) a favore dei rifugiati di ritorno. Non proprio di ritorno: i siriani che saranno trasferiti lì sono originari di altre zone, del centro, del sud, palese merce da sfruttare per insediare definitivamente l’influenza turca su un pezzo consistente di Siria.

«Stiamo preparando un progetto per il ritorno di un milione delle nostre sorelle e dei nostri fratelli siriani nella loro patria – ha detto Erdogan in un videomessaggio – Lo porteremo avanti con 13 assemblee locali, in particolare ad Azaz, al-Bab, Tal Abyad (Gire Spi) e Ras al-Ayn (Serekaniye)». Ai complessi residenziali seguiranno scuole, ospedali, moschee e infrastrutture per l’economia, «dall’agricoltura all’industria», oltre a corsi di formazione e attività educative.

A SUGGELLARE le parole del presidente è stato il ministro degli esteri, il falco Suleyman Soylu, in visita nella regione di Sarmada a Idlib in mezzo a una folla in visibilio e bandiere turche. Soylu, alla folla, ha promesso 100mila case entro l’anno, di cui 57mila già costruite, e 250mila nel prossimo futuro. A Erdogan punti in più nella corsa elettorale, in un paese, la Turchia, dove impennano i casi di razzismo, abusi della polizia e sfruttamento lavorativo, mix esplosivo accesso dalla propaganda politica e da calcolate decisioni «amministrative», come il divieto per i rifugiati di trasferirsi in 16 delle 81 province turche e il crescente uso delle deportazioni (oltre 19mila dal 2016, secondo al-Monitor).

L’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est ha reagito con la co-presidente del Syrian Democratic Council, Emina Omer: «I rifugiati sono stati usati all’inizio su un piano umanitario – ha detto in un’intervista all’agenzia Anf – Ora vengono sfruttati come carta politica in vista delle elezioni turche. Lo Stato turco intende imporre il proprio dominio e occupare nuovi territori. L’esistenza, la storia e la cultura dei curdi e degli altri popoli della regione sono al cuore del progetto. Un progetto fascista per sradicarci».

«LA TURCHIA parla di mandare indietro un milione di rifugiati siriani – aggiunge in un comunicato il Pyd, il Partito dell’unione democratica, espressione dei curdi siriani ispirato al confederalismo democratico – Ma non li rimanda nelle loro città natale. Li vuole collocare in aree occupate (…), in colonie per alterare la struttura sociale del popolo siriano».

Il piano non è nuovo. A seguito dell’occupazione di pezzi di Rojava nel 2019, Erdogan prospettò la costruzione di 10 città e 140 villaggi nell’area di confine a est dell’Eufrate. L’obiettivo: rafforzare il controllo della frontiera e liberarsi di «ospiti» indesiderati.