Cinque manifestanti fermati e denunciati (ma le riprese ne identificheranno quasi certamente altri), dieci agenti contusi «nessuno in modo grave» dice la stessa Questura, cariche e lacrimogeni, petardi e manganellate, molte manganellate. È finita così l’apertura di Vicenzaoro, la fiera di oreficeria e gioielleria che si tiene due volte l’anno a Vicenza. Un corteo dei centri sociali e uno – molto più grande e del tutto pacifico – della comunità palestinese hanno protestato contro la presenza di aziende israeliane alla fiera dell’oro vicentina. Israele è leader nel commercio dei diamanti, una fonte di guadagno direttamente collegata, dicono i manifestanti, «allo sterminio del popolo palestinese» a Gaza e in Cisgiordania.«Quei diamanti sono sporchi di sangue», è stato detto a più riprese.

IL PRIMO CORTEO è partito dal parcheggio di via Rossi, a pochi passi dal Centro sociale Bocciodromo, e ha visto la partecipazione di circa 500 persone provenienti non solo dal Veneto. I manifestanti hanno aperto il cancello di via Arsenale per dirigersi verso la zona della Fiera: in testa al corteo quattro grandi scudi, una testuggine arancione, con scritto “Stop global war”, “Free Palestine”, “Blocchiamo Israele”. Nella strada, che sbocca in uno degli ingressi principali dell’expo, sono stati bloccati dalla polizia con due cariche e l’uso ripetuto dell’idrante.

Una reazione dura da parte delle forze dell’ordine, che hanno continuato a manganellare anche un paio di ragazze che erano inciampate. Il bilancio parla di una ventina di contusi tra i giovani scesi in piazza. Sono stati lanciati lacrimogeni e sparati petardi, secondo il segretario regionale del sindacato di polizia Fsp Marrizio Ferrara ordigni artigianali, «lanci ad altezza d’uomo di fuochi d’artificio infarciti di materiale ferroso».

I FERITI delle forze dell’ordine hanno raccolto la solidarietà del ministro dell’interno Piantedosi, che si è voluto sincerare delle condizioni degli agenti e in una telefonata ha espresso al questore Dario Sallustio il proprio apprezzamento per come «le forze di polizia hanno saputo gestire ancora una volta, con la consueta professionalità, una situazione difficile, evitando guai peggiori e confermandosi presidio fondamentale di difesa della democrazia e della libertà».

Gli espositori israeliani alla fiera dell’oro vicentina erano ufficialmente due, la Afic Diamonds e la We Diamonds, entrambi diamantieri con sede a Ramat Gan, un sobborgo di Tel Aviv – qualche anno fa Netanhay, citato dal Jerusalem Post, dichiarò che l’industria israeliana dei diamanti finanziava «l’88% del budget che paga l’esercito israeliano, il Mossad e lo Shin Bet».

La settimana scorsa il centro sociale Bocciodromo aveva convocato una manifestazione per contestare la presenza a Vicenza «di chi ha le mani grondanti di sangue», e poco dopo una lettera che chiedeva di non ospitare le aziende israeliane dalla rassegna vicentina era stata presentata al sindaco Giacomo Possamai. Era firmata dalla Comunità palestinese del Veneto come da Adl Cobas e Ubs, dall’Anpi di Malo e dal Bocciodromo, dall’associazione Salaam Ragazzi dell’Olivo come da Pax Christi e altri. Non ha sortito altro effetto che una polemica di consiglieri comunali di Lega e Fratelli d’Italia, che hanno parlato di «antisemitismo» e difeso Vicenzaoro, «fiore all’occhiello della città» – chiedendo invece la revoca dello spazio pubblico del Bocciodromo. La giornata di oggi, insomma, covava già da una decina digiorni.

MA LA STORIA di Vicenza è da decenni legata alle dinamiche della guerra globale. La presenza di basi militari, ma anche di un tessuto sociale in grado di mobilitarsi contro la guerra e le servitù militari, segnano la storia di un’intera città. Da ottobre in poi non è la prima volta che si manifesta per la Palestina nella città berica.

ED È FORSE anche per questo, che la seconda mobilitazione della giornata, lanciata dalle Comunità palestinesi d’Italia, ha visto la partecipazione di migliaia di persone. Tanti giovani e seconde generazioni: chi ha manifestato questo pomeriggio ha calcato molto la mano contro l’utilizzo da parte dei media di una narrazione che non la rappresenta e da una classe politica che sostiene «il governo che sta compiendo un genocidio, cancellando un popolo».