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Viale Mazzini, al di sotto di ogni sospetto. La fuga dell’Ad

Viale Mazzini, al di sotto di ogni sospetto. La fuga dell’Ad – Foto Fabio Cimaglia / LaPresse

Riforme La vicenda della Rai sta finendo persino peggio del previsto. Già è stato assurdo il decreto-legge dello scorso 4 maggio scritto per liberare la postazione apicale del Teatro San Carlo […]

Pubblicato più di un anno faEdizione del 9 maggio 2023

La vicenda della Rai sta finendo persino peggio del previsto. Già è stato assurdo il decreto-legge dello scorso 4 maggio scritto per liberare la postazione apicale del Teatro San Carlo di Napoli, pensionando l’attuale sovrintendente Stéphane Lissner reo di aver compiuto settant’anni, per far posto eventualmente all’amministratore delegato di viale Mazzini. Ma all’opera degna di un regime in piena regola si è aggiunta la reazione di Carlo Fuortes, tanto debole e complice, quanto allusiva e criptica nel denunciare pressioni subite.

Meglio avrebbe fatto l’Ad uscente a motivare, allora, di quali sollecitazioni improprie è stato vittima. Su che? Da parte di chi?

La trasparenza è fondamentale per capire, onde trarre le dovute conclusioni. La storia rimane altrimenti avvolta da una coltre sgradevole, che induce a pensieri maligni e a considerare gravissima la situazione: un governo di destra desideroso di entrare in territori considerati infedeli, nonché gruppi dirigenti senza nerbo. Spiace sottolinearlo, perché Fuortes ha un passato manageriale di rispetto. Tra l’altro, potrebbe ritornare proprio in un ente lirico, settore dove ha avuto in passato diverse contestazioni.

Se alziamo, poi, lo sguardo verso il quadro generale, allora il cielo si fa proprio nerissimo.

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Sta ricominciando il balletto delle riforme istituzionale, questa volta sotto l’egida di una coalizione esplicitamente votata all’attuazione della porcheria chiamata Autonomia Differenziata, e al varo di qualche forma di presidenzialismo. Oltre tutto, la combinazione tra i due obiettivi rende la miscela micidiale. Si può parlare, senza tentennamenti, di restaurazione classista dall’alto. Gli esempi cui guarda il partito di Giorgia Meloni non sono neppure gli sgualciti ordinamenti anglosassoni, bensì i più recenti modelli autoritari, dalla Polonia all’Ungheria.

In simile contesto, e con una magistratura sottoposta ad attacchi costanti, il dominio pressoché assoluto sul sistema radiotelevisivo rende il rischio di un golpe bianco tutt’altro che fantascientifico.

Con un precariato dilagante anche nel mondo dell’informazione, con il bavaglio delle straripanti querele temerarie, con la crisi della lettura dei giornali, una torsione verso il presidenzialismo non troverebbe contrafforti né contropoteri. Insomma, parli di Rai e scopri, come in una Matrioska, le reali intenzioni sottese.

Ci pensino seriamente le forze di opposizione, se davvero volessero discutere di riforme istituzionali con la destra.

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Del resto, la memoria corre facilmente alla Commissione bicamerale del 1997, che finì in niente, ma con l’effetto collaterale di spegnere il conflitto sulla concentrazione berlusconiana e sul conflitto di interessi esercitato dal Cavaliere.

L’associazione Articolo21 ha lanciato un appello al riguardo e una prima risposta è arrivata da Nicola Fratoianni per l’Alleanza Verdi e Sinistra. È lecito aspettarsi che Partito democratico e Cinque Stelle si uniscano in un fronte antiautoritario comune. L’uragano è vicino.

 

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