A Verona, una delle città più a destra in Italia, l’unica certezza alla vigilia del voto è che il candidato del centrosinistra Damiano Tommasi andrà al ballottaggio. Mentre l’altro posto è conteso in una faida senza fine dai due galli della destra, l’uscente Federico Sboarina e l’ex sindaco Flavio Tosi.

SAREBBE LA PRIMA VOLTA dal 2002, vent’anni esatti, che un candidato di centrosinistra approda al secondo turno per giocarsi la partita. Allora Paolo Zanotto venne addirittura eletto sindaco, l’unico dal dopoguerra non appoggiato dalla Dc o dalle destre. Stavolta potrebbe toccare a Tommasi, che fa gli scongiuri: «Il ballottaggio sarebbe già un risultato storico», spiega al manifesto. E chi teme di più tra i possibili avversari? «Guardi, sono abituato a concentrarmi prima sulla partita di andata. Senza pensare a quella di ritorno». Parola di ex calciatore, centrocampista, già campione d’Italia con la Roma dopo gli esordi nell’Hellas Verona.

CANDIDATO ATIPICO, TOMMASI. L’hanno convinto a forza a fare i manifesti, «preferisco incontrare le persone faccia a faccia senza sporcare i muri della città». Non si è fatto i giri classici con i leader nazionali come Letta e Conte: «Qui si vota per la città, la campagna per le politiche inizierà tra qualche mese. Spiace che altri facciano di queste amministrative una prova generale delle politiche». Per lui tantissimi incontri, anche negli appartamenti, gruppi di amici, volontariato, associazioni, professionisti. Il primo e unico comizio lo farà domani, per la chiusura.

INDIPENDENTE, CI TIENE moltissimo al suo profilo civico, «mai avuta una tessera di partito». Cattolico, sei figli, citazioni del Papa e una adorazione per don Milani cui ha intitolato la scuola che gestisce. «Mi voteranno persone di destra e di sinistra, ma vorrei uscire da questo schema: le posizioni ideologiche fanno perdere di vista la concretezza, i progetti per la città».

Se in piazza Bra si materializzasse Nanni Moretti, gli griderebbe: «Te lo meriti Alberto Sordi». Ma per vincere fuori casa Letta e soci hanno dovuto fare buon viso. E accontentarsi. In realtà, questo strano candidato piace molto ai partiti che lo sostengono: parla di molto di scuola, di ambiente, di prossimità alle persone. Cose anche di sinistra. E così facendo è riuscito (forse unico caso in Italia) a tenere insieme Calenda e il M5S (senza simbolo per il veto del leader di Azione).

A DESTRA LA FAIDA DURA da anni. Nel 2017 la moglie di Tosi, Patrizia Bisinella, fu sconfitta da Sboarina (che era stato assessore di Tosi nella sua prima giunta). Erano gli anni del velenoso addio alla Lega, Tosi cercava una proiezione nazionale moderata e antisovranista, i rapporti con Salvini sotto lo zero. La Lega non ha vissuto bene i 5 anni di Sboarina, nel frattempo entrato in Fratelli d’Italia, tanto da immaginare di non ricandidarlo.

C’erano stati abboccamenti con Tosi, poi alla fine Salvini e Meloni si sono messi d’accordo: alla Lega andrebbero il vicesindaco e 5 assessori, mentre l’ex capogruppo in Senato e ora uomo forte del Carroccio in città Federico Bricolo (ex petalo del cerchio magico di Bossi, poi finito in disgrazia) è già stato mandato alla guida della Fiera (cda senza neppure una donna, ma il sindaco dice che le quote rosa «sono una cosa della sinistra»).

NON CI TIENE AD APPARIRE troppo liberale, Sboarina, che fu tra i promotori nel 2019 del medievale congresso mondiale delle famiglie con amici di Putin e tanta ultradestra: non gli ha portato grandi consensi. Matrimonio senza amore, dunque, sul nome di un sindaco che non ha brillato. Lui dà la colpa al Covid, ma Tosi ha buon gioco a ricordare ogni minuto che lui, da sindaco, era più popolare.

L’ex primo cittadino (sostenuto da Forza Italia e dai renziani), la mette giù dura: «A differenza di Sboarina ho dimostrato di essere capace a fare il sindaco». Dopo il flop nei panni del moderato, Tosi ha ripreso i toni da sceriffo, cita le armi che tiene sul comodino, annuncia di voler «ripristinare ordine e pulizia». Nonostante gli anni passati, e i vari fallimenti politici, giocare in casa gli ha ridato un certo smalto: «Ora torno io».

IL SINDACO SI SGOLA a ricordare agli elettori di centrodestra (che restano maggioranza in città) che «il candidato della coalizione è uno solo: sono io». E che «Forza Italia tornerà con noi al ballottaggio». Di Tosi ricorda le mille giravolte, la candidatura alle regionali contro Zaia nel 2015, l’appoggio a Renzi nel referendum costituzionale. «Nella sua Verona ci sono state indagini per ’ndrangheta, il suo vice è stato condannato per corruzione», affonda Sboarina. E ancora: «Io con Zaia ho un rapporto straordinario».

Oggi arrivano a sostenerlo Salvini e Meloni, riuniti per l’occasione dopo le polemiche durissime degli ultimi giorni sulle divisioni del centrodestra in varie città. Tutti insieme in piazza Dante, per una foto ricordo con anche il sindaco di Venezia Brugnaro (che ha vinto due) come portafortuna.

A DARE MANFORTE a Tommasi sono arrivati vari amministratori di centrosinistra: i sindaci di Bergamo e Firenze Gori e Nardella, il governatore emiliano Bonaccini. «Ci hanno spiegato le loro ricette su turismo, cultura, servizi educativi», spiegano da casa Tommasi dove il motto è «forza tranquilla». Tradotto: le botte se le danno gli altri due, e tanto basta. Uniti solo nel dire che il candidato di centrosinistra «è una degna persona, ma ha sempre e solo giocato a calcio, è inesperto».

Cosa succederà al secondo turno? Se ci andasse Tosi, è probabile che la Lega lo sosterrebbe, mentre le forze più vicine al sindaco potrebbero anche turarsi il naso e votare Tommasi per dispetto. La faida a destra non è finita.