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Vento in poppa, ma rischio tempesta. E la destra già litiga

Vento in poppa, ma rischio tempesta. E la destra già litigaGiorgia Meloni, Antonio Tajani, Matteo Salvini – Lapresse

25 settembre Salvini insiste sullo scostamento di bilancio, Meloni sul Pnrr, la Ue lancia avvertimenti. Il dopo elezioni agita gli alleati

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 16 settembre 2022

Campagna elettorale anomala e bizzarra quella che sta per concludersi. Chi prova a farla davvero, Pd incluso, lotta solo per la sopravvivenza o per limitare il danno. Il centrodestra, invece, si sente la vittoria in tasca e si misura già sul dopo 25 settembre. Giorgia e Matteo vanno d’amore e d’accordo sul sostegno all’amico Orbán mentre Berlusconi si smarca: «In un governo anti Ue noi non ci saremmo». Poi però Salvini e Meloni si dividono quando si rientra in patria e si arriva allo scostamento di bilancio. Il leghista lo dice chiaro e tondo: «Con Giorgia vado d’accordo su tutto ma non capisco come si possa dire che possiamo aspettare qualche settimana o qualche mese in più per mettere i soldi sulle bollette. Così sarà peggio del Covid». Qualche settimana fa parlavano con gli stessi toni di quel che avrebbe dovuto fare il governo Draghi. Ora discutono su quel che a breve dovranno fare loro.

ALLO STESSO MODO il «tagliando» che la leader di FdI vuol mettere sul Pnrr, di fatto una seria revisione se non una riscrittura, non è più materia da comizio elettorale ma dibattito sulle scelte precise che probabilmente proprio lei dovrà fare in tempi rapidi. Si capiscono dunque le ragioni dell’intervento pesante, nella sostanza se non nella forma, del commissario Ue Dombrovskis. Sulla revisione del Piano «il regolamento è chiaro» e «le tempistiche di attuazione sono piuttosto strette».

Insomma, se si ricomincia a discutere «c’è il rischio di non riuscire a utilizzare tutti i fondi». Su aiuti ed eventuale scostamento il falco vicepresidente della Commissione è anche più tassativo: misure di sostegno «ben mirate e temporanee». Neanche a parlarne di fare come col Covid «perché gli Stati sono usciti dalla pandemia con livelli di debito molto più alti». E incidentalmente quello italiano è il più alto di tutti. Senza dimenticare che nessun sostegno potrà entrare in contrasto con l’obiettivo della Bce, cioè la riduzione dell’inflazione.

LA VISIONE di Dombrovskis è chiara e non si tratta certo di una novità. Gli elettori non decidono sul cosa fare, quello è già scritto, ma esclusivamente su chi si troverà a doverlo fare. Solo che la faccenda, per chi governerà nel giro di poche settimane e a maggior ragione se si trattasse della destra, è molto meno semplice e a renderla tale è la realtà dei fatti, delle cifre, delle previsioni. Fitch annuncia la recessione per tutta l’Europa entro la fine dell’anno. Per l’Italia la contrazione prevista è dello 0,7% nel 2023 ma con la specifica che da noi le cose saranno più difficili che nel resto d’Europa perché il 50% dell’elettricità dipende dal gas contro una media europea del 20%. Il ritardo nella riconversione energetica si farà sentire eccome. Le stime di Confcommercio coincidono, però dovrebbe trattarsi di una «recessione mite». Comunque con 120mila imprese a rischio chiusura nei prossimi 10 mesi.

LO STESSO PNRR non sembra affatto in una botte di ferro. Ancora non è stata assorbita la mazzata dei rincari delle materie prime, che incidono a fondo sull’implementazione delle opere del Piano, e ora l’Ance suona le sirene d’allarme a distesa per un colpo ben più duro. I rincari energetici, secondo le previsioni dei costruttori, faranno lievitare i costi del 35%: colpo che rischia di essere fatale. Anche sui risultati già raggiunti da Draghi il quadro non è davvero roseo. Il governo ritiene di poter raggiungere 29 obiettivi su 55 prima di passare la mano e tra questi la riforma del processo penale e civile dovrebbe essere il fiore all’occhiello. Ma tra i 26 obiettivi di cui dovrà farsi carico il nuovo governo, e anche a spron battuto, ci sono i capitoli più controversi e difficili, come la riforma della concorrenza e la delega fiscale. Per capire quanto lo scoglio sia pericoloso basti considerare che nei giorni scorsi il ministro D’Incà ha verificato la possibilità, o meglio l’impossibilità, di portare la delega fiscale in aula addirittura dopo le elezioni, in attesa del prossimo governo.

INSOMMA LA DESTRA ha il vento elettorale in poppa ma si sente chiusa tra il diktat europeo e la necessità di evitare lo scontro con Bruxelles, una tempesta in arrivo sulle cui dimensioni nessuno può fare previsioni certe, le aspettative degli elettori e le divisioni interne, senza contare la necessità di chiudere la legge di bilancio in tempi fulminei. Non c’è da stupirsi se inizia a chiedersi che fare travestendo il dibattito, e lo scontro, con i paramenti della campagna elettorale.

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