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Vent’anni lontani dalla verità

Vent’anni lontani dalla veritàManifestazione a Genova nel 2001

Intervista a Haidi Giuliani Da quei giorni del 2001 la famiglia di Carlo chiede giustizia su quanto accadde in piazza Alimonda, attraverso un processo che non c’è mai stato

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 17 luglio 2021

Haidi, insieme a suo marito Giuliano, alla figlia Elena e a tutto il comitato «piazza Carlo Giuliani» da vent’anni chiede verità e giustizia per suo figlio Carlo, ucciso il 20 luglio del 2001, in Piazza Alimonda, durante il G8 di Genova.

Come ha vissuto questi 20, lunghi, anni?

Non ci siamo mai fermati, abbiamo girato l’Italia, da nord a sud, partecipando a centinaia di dibattiti, convegni, incontri e confronti continuando a ripetere che sul G8 non è stata fatta chiarezza. Ci sono ancora troppi lati oscuri non solo sulla morte di Carlo sulla quale noi continuiamo a pensare che non fu un colpo sparato dal giovane carabiniere Mario Placanica a colpire in testa nostro figlio ma, anche, sulle tante piccole e grandi ingiustizie e brutalità che le forze dell’ordine commisero in quei giorni. Non solo Piazza Alimonda, la Diaz o Bolzaneto: dalla carica, a freddo, da parte dei carabinieri al corteo dei disobbedienti in Via Tolemaide fino a fatti ed eventi che caratterizzarono la repressione delle piazze, dove solo per quanto successe in Piazza Manin si è fatta una piccola, timida luce.

Franco Gabrielli, fino al febbraio scorso capo della Polizia e oggi sottosegretario alla presidenza del consiglio nel governo Draghi, disse, in una lunga intervista del 2017, che sul G8 di Genova era tempo di “voltare pagina”, una proposta di riappacificazione che voi, già allora, respingeste.

Il signor Franco Gabrielli ha chiesto di voltare pagina e non parlare più di quei giorni. Questa è pura ipocrisia. Lui, da capo della Polizia, ha continuato a promuovere i condannati della Diaz. Davvero lui pensa che con una intervista si possano cancellare quelle ferite? La polizia, in questi anni, ha continuato ad autoassolversi senza sentire il bisogno, dopo quanto era successo a Genova, di riformarsi. Proprio la storia di repressione messa in atto in questi anni dalla polizia di Stato, da quella che io ho sempre considerato l’istituzione che dovrebbe tutelare la mia sicurezza, ci dice che dal G8 non hanno imparato nulla. Anzi. Basta vedere la violenza repressiva che, ancora oggi, subisce il movimento No Tav in Val di Susa. Negli anni ’60 e ’70 ero iscritta al Pci e allora, ricordo, un grande movimento per la democratizzazione della Polizia che portò anche a delle importanti conquiste. Oggi siamo tornati indietro di 50 anni e non c’è più nulla di quella spinta «democratica» che, proprio all’interno di quel corpo, portò allora molti poliziotti a scendere in piazza con noi.

Ha accennato alla sua antica militanza tra le file del PCI mentre dal 2007 al 2008, sedette come indipendente in Senato per Rifondazione Comunista. La sua presenza avrebbe dovuto aiutare la nascita di una commissione d’inchiesta sui fatti di Genova. Il governo Prodi cadde prematuramente ma, probabilmente, la commissione non avrebbe comunque visto la luce. Come vede oggi quella sinistra che lei ha anche rappresentato nelle istituzioni?

Dispersa in mille rivoli, una sommatoria di debolezze che non riescono ad essere forza. In questi mesi, tra i tanti libri usciti per il ventennale del G8, mi ha colpito molto quello di Michele Vaccari, «Urla sempre, primavera» (NNeditore). Michele parlando del movimento di allora scrive «è stata l’ultima rivoluzione e siamo riusciti a perderla perché non ci siamo riconosciuti». Ecco, io penso che qui ci sia un po’ la sintesi della storia recente della sinistra italiana: non ri-conoscersi più come agente collettivo del e per il cambiamento dove ognuna e ognuno, con la sua storia e i suoi linguaggi, perde un po’ del proprio sé per costruirne uno nuovo, collettivo.

In questi giorni sono moltissime le iniziative, a Genova e in tutta Italia, per ricordare le giornate del luglio 2001, che culmineranno nella manifestazione a Piazza Alimonda il prossimo martedì pomeriggio. Che bilancio trae da questo ventennale?

Improvvisamente un clima diverso, credo che a rendere giustizia di quei giorni abbia contribuito, in maniera decisiva, la trasmissione «Atlantide, la notte della democrazia» di Andrea Purgatori, andata in onda su La7 a fine giugno. È stata, per la prima volta dopo vent’anni, una trasmissione in prima serata che ha raccontato cosa successe allora, con un vero giornalismo d’inchiesta. Voglio ringraziare pubblicamente Michele Rech «Zerocalcare» per le cose che ha detto su Carlo nell’intervista. Tra parentesi Michele sarà con noi, già lunedì, a Genova in un dibattito al Ducale per discutere insieme a molti altri su come il fumetto possa diventare uno strumento di denuncia e di racconto sociale. Il libro collettivo «nessuno rimorso», l’antologia di fumetti curata da «supporto legale» uscita in questi giorni, ha proprio questo scopo soprattutto verso le nuove generazioni.

Qual è la cosa che più vi ha ferito in questi anni rispetto alla morte di Carlo?

Quello che avvenne durante il processo per il suo omicidio, conclusosi con un’archiviazione per «legittima difesa». Lo dico perché ho sempre difeso la nostra Costituzione, la divisione dei poteri dello Stato e l’indipendenza della magistratura. Ecco perché sono rimasta ferita e indignata di fronte al magistrato che ha archiviato il processo per omicidio, alle argomentazione del PM che ha proposto l’archiviazione e davanti a tutti soggetti istituzionali che nelle aule del tribunale di Genova hanno lavorato contro un giusto processo e un’inchiesta seria. Più ancora che le parole ciniche o brutali di una certa politica o il comportamento delle forze dell’ordine è l’atteggiamento di quella parte della magistratura ad aver rappresentato la ferita più grande. Lo dico come cittadina della Repubblica ancora prima che come madre di Carlo. Ecco perché io mi attendo delle scuse dalla Stato italiano, non solo perché mi hanno portato via un figlio ma perché non abbiamo potuto avere un giusto processo.

Crede che si potrà mai fare luce, fino in fondo, sui tanti lati oscuri di quei giorni a partire dal ruolo dei vertici di polizia, carabinieri e Stato permisero, autorizzarono e coprirono le violenze, le torture e l’aggressione al movimento dei movimenti?

Noi continueremo a chiedere un giusto processo per Carlo e una commissione d’inchiesta per i fatti successi durante il G8 di Genova 2001. Lo scorso anno come famiglia, io e Giuliano, abbiamo fatto un passo indietro dal «comitato Piazza Carlo Giuliani» facendo largo a tanti giovani che stanno, meritoriamente, portando avanti la giusta battaglia per la verità e la giustizia. Non so se e quando si potranno scoprire tutte le verità su quanto successe allora. Le giornate che i vari comitati stanno organizzando in questi giorni a Genova come la manifestazione di martedì a Piazza Alimonda sono ancora una volta tese a ribadire: don’t clean up this blood, non pulite questo sangue, come qualcuno, nella notte del 21 luglio, scrisse sui muri della scuola Diaz durante la mattanza. Noi continueremo a batterci e lottare per questo.

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