Heidi Giuliani: «I movimenti che erano a Genova non sono morti»
Ogni anno, il 20 luglio, Haidi Giuliani continua ad andare in piazza Alimonda, dove suo figlio Carlo è stato ucciso dal proiettile sparato dalla pistola di un carabiniere. Non è sola. Con lei ci sono sempre il marito Giuliano e la figlia Elena. E le centinaia di persone che continuano a non voler dimenticare.
Heidi Giuliani, questo è il primo anniversario del G8 senza manifestanti in carcere o sotto processo.
È incredibile. Chi in quei giorni scese in piazza era gente che semplicemente voleva esprimere un’opinione diversa rispetto a quella del potere. Per me questo è un argomento difficile e doloroso, ma voglio dire che Genova non è mai finita. C’è stata una persecuzione continua che va avanti ancora adesso per altri che magari non c’erano a quelle manifestazioni ma ne hanno fatte altre. Mi impressiona che tante persone, assolutamente non colpevoli di reati gravi, vengano inseguite per anni e anni, mentre chi uccide, devasta e opprime continua a farlo senza essere disturbato. Tanti in effetti hanno fatto carriera, e non parlo solo dei poliziotti.
Ventidue anni dopo come vede lo stato del dibattito pubblico sui fatti di Genova?
Proprio in questi giorni sto leggendo un libro uscito da poco, di Lisa Riccetti, s’intitola Il linguaggio della tensione. La manipolazione mediatica del G8 di Genova. Ecco, io penso che questa manipolazione vada avanti ancora oggi contro tutti quelli che provano a ribellarsi. Penso alla Val di Susa, agli operai della Gkn. Mi sembra che si faccia di tutto per negare il diritto al dissenso. E mi viene da dire povera la nostra costituzione, stracciata prima ancora di essere applicata.
L’eredità di Genova però non è solo nei processi e nelle inchieste giudiziarie.
Certo, i movimenti che erano a Genova non sono di certo morti. C’è chi salva i migranti in mare, prima dicevamo della Val di Susa e della Gkn, e ci sono tanti altri esempi possibili. Lo abbiamo detto l’altro giorno in piazza Alimonda: c’è bisogno di resistere e mi pare che tanti movimenti nati dopo il G8 lo stiano facendo.
In certi ambienti, per così dire, liberali si traccia una linea di continuità tra i manifestanti di Genova e i sovranisti dei giorni nostri. La tesi è che entrambi sono contro la globalizzazione e dunque sono assimilabili. Cosa ne pensa?
È anche questa manipolazione mediatica. Intanto vorrei dire che «no global» mi è sempre parso un termine sbagliato. Cioè a me sembra che chi ha manifestato del G8 fosse molto globale, diciamo. Certe idee fanno parte del linguaggio costruito contro i movimenti, una falsità utile per chi vuole cambiare il significato di quello che è successo.
Cosa resta, dunque, di quelle giornate?
Molti giovani non sanno nulla di quello che è accaduto durante il G8 del 2001. Mi spiace dirlo ma i giornali e le televisioni non ne parlano. C’è di sicuro chi si informa, ma noto molto disordine. Sarebbe interessante sapere perché c’è questa volontà di non informare. Qualche giorno fa ascoltavo Fahrenheit su Radio3 e Loredana Lipperini credo abbia fatto la domanda giusta: perché non se ne vuole parlare? Forse perché è stato un punto di svolta.
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