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Venezia, Allan Dwan tra i film restaurati

Venezia, Allan Dwan tra i film restaurati

Venezia 80 «Rebecca of Sunnybrook Farm», pellicola del 1938 con Shirley Temple, sarà presentata al Lido

Pubblicato circa un anno faEdizione del 2 settembre 2023

La rassegna veneziana di classici restaurati include anche quest’anno pregevoli riscoperte che per lo più non hanno bisogno di presentazione; vale la pena di segnalare piuttosto una pellicola che potrebbe facilmente sfuggire a leggere il suo patetico titolo italiano, Rondine senza nido. Trattasi infatti di Rebecca of Sunnybrook Farm (1938) diretto da Allan Dwan e interpretato da Shirley Temple, nel ruolo di un’orfanella contesa tra un impresario musical-radiofonico (Randolph Scott), l’avaro zio Harry e la vecchia zia Miranda. Dwan dirige questo film subito dopo aver realizzato con la star bambina il mitico Heidi, un altro testo che utilizzava «riccioli d’oro» Shirley nel ruolo di una bimba vivace e tenera, per la Fox, che di divi non ne aveva sotto contratto, e che la trasforma nella star femminile più famosa del tempo: sì, nei sondaggi degli anni Trenta era più famosa persino di Greta Garbo.

Il regista del film è Allan Dwan, che ho avuto la fortuna di intervistare nel lontano 1976, e del quale sarebbe davvero auspicabile una retrospettiva per rivedere sia i suoi pregevolissimi film muti, che il suo lavoro post-bellico. Definito da Peter Bogdanovich in un libro-intervista «l’ultimo pioniere» Dwan vanta infatti una carriera che è una vera sintesi di storia del cinema.

A Chicago, allora la città più attiva in campo cinematografico, studia ingegneria elettrica a Notre Dame dove si afferma come campione di football per occuparsi poi di quelle lampade a vapori di mercurio che vengono adottate nel cinema, entrando in contatto perciò con la casa di produzione cinematografica Essanay, alla quale vende alcuni soggetti e dove inizia a lavorare come story editor. Nel 1910 si trasferisce in California e ben presto passa alla regia, realizzando circa 250 corti, per lo più western, incluso Calamity Anne, la prima serie con una cowgirl. Nel 1913 passa all’Universal e poi in diversi studios dove ha modo di dirigere gli attori con un suo stile sobrio («L’economia nei gesti è un elemento importante della recitazione. Bisogna dar loro abbastanza da fare, ma in modo da lasciare che il pubblico faccia il resto») e sfruttando al meglio l’illuminazione–naturalmente, visto il suo training. Dwan lancia Lon Chaney con i suoi trucchi e travestimenti, assistente di Griffith sul set di Intolerance inventa una piattaforma per i movimenti della cinepresa, ovvero la gru, su Douglas Fairbanks proietta la propria immagine di giovane uomo «atletico e irrequieto» firmando lo spettacolare e funambolico Robin Hood muto e un Iron Mask, ovvero I tre moschettieri in versione dark, e poi dirige Marion Davies, le sorelle Gish, ma soprattutto Gloria Swanson, per la quale firma diversi film piccanti. Passa al sonoro senza traumi e oltre ai film con la Temple, lavora in seguito con un’altra star bambina, Natalie Wood, in Driftwood (Fiore selvaggio, 1947); tra i 400 film al suo attivo, ha diretto diversi film con Tyrone Power e uno dei migliori John Wayne in Sands of Iwo Jima; il suo ultimo titolo Most Dangerous Man Alive è del 1961.

Di questo lungo percorso amava raccontare una serie di aneddoti che sono serviti poi a Bogdanovich per costruire Nickeodeon (Vecchia America, 1976) sulle esperienze di John Ford, Raoul Walsh e soprattutto di Dwan, nel cinema muto. Come quando gangster armati mandati dalle compagnie del Trust capeggiate da Edision sparavano alle cineprese utilizzate dagli indipendenti che si servivano di macchine al di fuori dei loro brevetti, o quando nelle scazzottate tra i cowboy voleva che pestassero duro, perché non riusciva ad adattarsi alle finte, o dei set divisi da sottili pannelli per cui da un lato c’era chi moriva in un melodramma e dall’altro chi ballava in un saloon, e così via.

Un grande personaggio, dimenticato anche perché sosteneva che «Se alzi la testa al di sopra della massa, rischi che cerchino di staccartela. Se stai giù, puoi durare per sempre».

Ma torniamo al film; Rebecca of Sunnybrook Farm è tratto da un libro per bambini del 1903 aggiornato con la sua felice intuizione di farne un film musicale ambientato nel mondo della radio. Shirley Temple è perfetta nel ruolo, spigliata e canterina, mai patetica. Dwan ha raccontato a Peter Bogdanovich che era molto facile lavorare con lei, perché la madre la istruiva alla perfezione così arrivava sul set sapendo tutte le «parole», ovvero i dialoghi, e i passi dei balletti, ed era persino capace di suggerire le battute ai colleghi adulti che le avevano dimenticate. Al di là di questo lavoro particolare con la piccola Shirley, è interessante l’aggiornamento che Dwan -sceneggiatore, produttore e regista- introduce nella vicenda con l’ambientazione radiofonica. Altman, Allen e i fratelli Coen di Fratello dove sei ci hanno raccontato l’enorme popolarità della radio negli anni Trenta, ma è meno noto lo stretto rapporto industriale che si crea tra Hollywood e la radiofonia con l’avvento del sonoro, oltre alla perfetta sinergia non solo con quella tecnologia e con le corporations (la RKO includeva le radio di Sarnoff) ma anche con alcuni suoi modelli di spettacolo, incluse le soap opera e i gialli a puntate.

La radio dunque è più che una scusa per far esibire Shirley, ma la continuità con lo stile produttivo Fox, che, assieme alla Warner, associa il sonoro con l’invenzione del musical.

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