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Venezia 80, a oriente il diavolo non esiste, forse

Venezia 80, a oriente il diavolo non esiste, forse

Venezia 80 Alla Mostra il regista premio Oscar Ryusuke Hamaguchi e Shin'ya Tsukamoto con il suo film-preghiera

Pubblicato circa un anno faEdizione del 26 agosto 2023

In questo periodo circa due anni fa, Ryusuke Hamaguchi era ancora impegnato a partecipare ai vari eventi di presentazione e premiazione per quello che si è poi rivelato il suo film più celebrato, Drive My Car. Dopo aver ricevuto il premio come miglior sceneggiatura a Cannes infatti, il lungometraggio ispirato ad un racconto di Haruki Murakami si sarebbe aggiudicato l’Oscar come miglior film straniero alla notte degli Oscar nel 2022. Più o meno nello stesso periodo, almeno stando a quanto dichiarato in una recente intervista dalla stessa artista, Eiko Ishibashi, la musicista che di Drive My Car aveva curato le belle musiche, ricevette un’interessante e originale proposta da un promoter musicale. L’idea era quella di organizzare e mettere in scena una performance dal vivo abbinata ad un video, dove entrambi gli elementi, quello musicale e quello visivo, avrebbero contribuito alla pari alla riuscita dell’evento. Vista l’ottima relazione e la riuscita artistica della sua precedente collaborazione con Hamaguchi, la musicista giapponese pensò subito di chiedere l’aiuto al regista di Happy Hour per questo nuovo progetto. Hamaguchi fin dai suoi inizi è sempre stato interessato a lasciarsi influenzare ed a ibridare il suo cinema con le altre arti, dalla fotografia in The Depths del 2010, all’elemento performativo e l’atto del recitare in Intimacies di due anni successivo. O ancora dalla danza in Touching the Skin of Eeriness nel 2013 al complesso crinale che separa dialoghi naturali e le parole declamate davanti all’occhio della videocamera, nei documentari sul terremoto e lo tsunami che sconvolsero la zona del Tohoku nel 2011.

Affrontare la musica, specialmente quella dal vivo, è quindi stata una nuova sfida per Hamaguchi, un impegno che ha stimolato il regista giapponese in modo così profondo da portarlo a estendere l’idea originale. Il video per accompagnare il concerto dal vivo di Ishibashi si è trasformato nella realizzazione di un vero e proprio lungometraggio.

Questo è avvenuto, secondo quanto affermato da Hamaguchi stesso, anche grazie all’apporto fondamentale ricevuto dagli attori, una pratica, quella di dare libero spazio creativo agli interpreti, che è una delle caratteristiche più interessanti del suo modo di fare cinema.

Aku wa sonzai shinai (Evil Does Not Exist), è nato quindi da questa collaborazione fra Ishibashi e Hamaguchi, un lungometraggio che, un po’ a sorpresa, è stato invitato in competizione alla Biennale di quest’anno. Sorpresa perché, come abbiamo visto, è un lavoro nato quasi per caso, un’evoluzione del film Gift, realizzato per la live performance di Ishibashi. Questo concerto sarà proiettato solo in occasione dei concerti dell’artista e non nei cinema e avrà la sua anteprima in Belgio, al Ghent International Film Festival, questo autunno. Si tratta di un film che verrà proiettato alle spalle della musicista giapponese, un lavoro senza sonoro e più corto di quello che sarà presentato a Venezia, ma che con quest’ultimo condivide l’idea di base e di partenza.

Da quanto rivelato finora, il lungometraggio presente a Venezia racconta di un piccolo villaggio rurale del Giappone, in cui Takumi e la sua giovane figlia Hana vivono in tranquillità ed in armonia con l’ambiente circostante. Un giorno però, questa loro quotidianità viene interrotta dall’arrivo di un’azienda proveniente da Tokyo, decisa a iniziare i lavori di costruzione di un sito di glamping. Questi sono campeggi di lusso che si sono moltiplicati nell’ultimo decennio nell’arcipelago, anche prima della pandemia quindi, che ha comunque rilanciato una sorta di turismo «alternativo», in altre parole, lontano dalle masse, ma con tutte le comodità di un hotel. Nel film questa nuova iniziativa promette di portare un grosso numero di turisti dalla città, ma rischiando in questo modo di compromettere l’equilibrio ecologico e sociale della zona. Un tema delicato, quello del rapporto fra grandi agglomerati urbani e zone rurali, che di sicuro merita l’occhio ed il punto di vista, mai banale, di Hamaguchi.

Torna in Orizzonti Shin’ya Tsukamoto che proprio in questa sezione nel 2011 presentò uno dei suoi film più riusciti, Kotoko. Il lungometraggio portato a Venezia in questa edizione è intitolato Hokage (Shadow of Fire) ed è il terzo lavoro che il regista giapponese dedica al tema della guerra. Se nel 2014 con Nobi (Fires on the Plain) Tsukamoto portava sul grande schermo gli orrori e la carneficina del conflitto mondiale visto e vissuto nel fango e nel sangue da un soldato giapponese nelle Filippine, con Zan (Killing), uscito quattro anni più tardi, si spostava indietro nel tempo. Qui, nelle ultime fasi del periodo Edo, in un Giappone feudale devastato da guerre fra i clan, un samurai si rifiutava di prendere in mano la spada e di combattere. In Shadow of Fire, Tsukamoto mette in immagini quello che la guerra lascia dietro di sé, sia fisicamente che psicologicamente. Siamo infatti nei primi anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale e le persone, ancora sconvolte dagli orrori subiti, cercano di trovare e dare un senso alle loro vite.

Secondo le dichiarazioni dello stesso Tsukamoto, Shadow of Fire è un film-preghiera, che guarda anche e inevitabilmente a quello che sta succedendo nel mondo in questi anni.
Protagonisti del lungometraggio sono l’attrice Shuri e il danzatore e attore Mirai Moriyama, visto recentemente anche in Shin Kamen Rider di Hideaki Anno.
Il film racconta dell’incontro di una giovane donna (Shuri), che finita la guerra, rimane sola e smarrita, ma che riesce a trovare un barlume di speranza nell’ incontro con un giovane dal braccio immobilizzato che ha perso la sua famiglia.

Moriyama, nelle varie dichiarazioni rilasciate ai giornali, descrive i protagonisti del lungometraggio come delle anime perdute che vagano nel tumulto del dopoguerra, quasi come fantasmi.
Shadow of Fire è anche il primo lavoro che Tsukamoto ha realizzato dopo la prematura scomparsa di Chu Ishikawa, musicista e compositore che ha accompagnato tutta la carriera del regista giapponese, fin dai suoi esordi con Tetsuo The Iron Man. Shadow of Fire si avvarrà però ancora delle musiche composte da Ishikawa, in quanto Tsukamoto scartabellando fra i vari file lasciati dal musicista quando lavorava a Killing, ne ha trovati alcuni contenenti musiche originali.

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