Il Consiglio dell’Unione Europea sta per adottare una decisione cruciale per le politiche climatiche italiane e globali. Ma nessuno ne parla. Si tratta dell’approvazione del Trattato sulla Carta dell’Energia (Tce) nella sua versione ‘modernizzata’.

Il Tce protegge gli investimenti stranieri in materia di energia, inclusi quelli in combustibili fossili, conferendo diritti straordinari alle multinazionali del gas e del petrolio. Il Tce rimuove le controversie dalle corti domestiche demandandone la risoluzione a tribunali arbitrali internazionali.

Questi tribunali sono composti da tre arbitri con irrisolti conflitti d’interessi. Oltre ai danni richiesti dalle imprese fossili che possono arrivare a miliardi di euro, gli onorari e le spese per il solo tribunale arbitrale si aggirano in media sul milione di dollari.

Questo significa che gli introiti generati dalla tassazione domestica vengono usati per pagare cifre oscene ad arbitri internazionali, multinazionali e fondi d’investimento, a scapito di politiche sostenibili e ammortizzatori sociali che potrebbero facilitare la transizione energetica.

Secondo uno studio pubblicato recentemente su Science, il Tce costituisce un grave ostacolo per la transizione energetica con un costo stimato tra i $5 e i $20 miliardi.

Per aver adottato delle normative ambientali che vietano la coltivazione di idrocarburi nel mare prospiciente le sue coste, l’Italia è stata recentemente condannata a pagare $240 milioni alla società petrolifera Rockhopper.

Diversi stati, tra cui Olanda, Francia e Germania hanno annunciato di voler uscire dal Tce e di non voler ratificare il testo modernizzato perché contrario agli obiettivi dell’accordo di Parigi.

L’Italia si è ritirata già nel 2016, ma continua ad esserne vincolata grazie a le cosiddette ‘clausole di sopravvivenza’, per cui le imprese sono protette per venti anni dopo l’uscita dal Tce. Con un’uscita coordinata degli Stati membri Ue, si potrebbero rinegoziare anche queste clausole, così da porre fine alla scandalosa protezione dei combustibili fossili.

Tuttavia la Commissione europea persiste nel supportare il testo modernizzato. Purtroppo questo testo, negoziato dalla Commissione senza trasparenza e senza il coinvolgimento della società civile, continua a proteggere almeno sino al 2035 i combustibili fossili ed estende la protezione a fonti energetiche, come le biomasse, la cui sostenibilità è discutibile.

Se la proposta della Commissione venisse bloccata, l’Ue dovrebbe uscire dal trattato, anche alla luce di una decisione della Corte di Giustizia Europea che ne dichiara la parziale incompatibilità con il diritto europeo. Di contro, con un voto a favore, si corre un grave rischio che l’Italia resterà indirettamente vincolata al trattato, essendo paese membro dell’Ue.

Al momento, ci sono 6 procedimenti arbitrali contro l’Italia, che potrebbero costarci molto caro. Come paese impegnato nella ‘grande sfida della decarbonizzazione’, l’Italia ha tutto l’interesse a votare contro la proposta della Commissione. Quella che potrebbe apparire la discussione tecnica su un oscuro accordo internazionale è di vitale importanza per le politiche sul clima.

La Germania e la Francia hanno appena annunciato che si asterranno dal voto. Questa decisione è probabilmente il risultato di un dibattito pubblico in cui la società civile ha espresso le sue critiche rispetto alla rinegoziazione del Tce.

Come voterà l’Italia e perché i cittadini non sono stati informati? Perché non si è aperto un dibattito pubblico?

Se l’Italia fosse seria nel suo impegno di decarbonizzare l’economia dovrebbe votare no e cooperare con l’Ue e gli altri Stati membri per un’uscita coordinata dal Tce. Un voto a favore del Tce modernizzato sarebbe contro l’ambiente e la democrazia ed appannaggio dell’economia fossile.

Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ci ricorda che investire in nuove infrastrutture per i combustibili fossili è pura pazzia economica e morale. Proteggere questi investimenti attraverso il Tce è pura follia giuridica.

* L’autrice è Professore di Diritto Internazionale dell’Economia Erasmus University Rotterdam