Dopo l’Ucraina, anche in Siria sale pericolosamente la tensione militare tra Usa e Russia. Appena qualche giorno fa un aereo da combattimento russo Su-27 si è scontrato con un drone MQ-9 Usa sopra il Mar Nero. Ora Washington accusa i piloti russi di base in Siria, a bordo di aerei da combattimento armati di bombe, di aver intensificato nelle ultime settimane la frequenza dei sorvoli sulle basi Usa situate nelle aree del paese arabo non controllate dal governo di Damasco. «Volano sopra le nostre basi con aerei da combattimento armati con l’intento di essere provocatori», ha detto due giorni fa durante una audizione al Senato, il generale Michael Kurilla, comandante delle Forze armate Usa in Medio Oriente. A suo avviso il modo di operare dell’aviazione russa sarebbe «poco professionale» e in violazione delle intese raggiunte per evitare incidenti. Rispondendo alla domanda di un senatore, Kurilla ha riferito di «un picco significativo» dei sorvoli a partire dal 1° marzo.

Già dopo l’incidente del drone, Washington per bocca del comandante in capo Mark Milley aveva affermato che il modo di volare e operare dei russi farebbe «parte di uno schema», di un «comportamento aggressivo» verso gli aerei statunitensi e degli alleati in altre parti del mondo. La scorsa settimana un altro comandante Usa in Medio oriente, Alexus Grynkewich, aveva riferito ai giornalisti che gli aerei russi volano in coppia: un bombardiere Su-24 o Su-34 accompagnato da un caccia Su-35. «Li stiamo intercettando e ci assicuriamo che non mettano a rischio le nostre forze a terra», ha detto Grynkewich, aggiungendo che i russi «volano nello spazio aereo che, secondo i protocolli di de-escalation, dovrebbe essere il luogo in cui operiamo noi e non i russi». Dal Centcom, il comando centrale Usa in Medio oriente, affermano inoltre che i russi spierebbero con droni i campi militari che ospitano un migliaio di soldati americani schierati a sostegno delle Sdf, le unità combattenti a maggioranza curda che controllano le regioni nel nord-est della Siria. Truppe che lo stesso generale Mark Milley ha visitato nei giorni scorsi – tra le proteste delle autorità siriane – lasciando intendere che Washington le manterrà e rafforzerà.

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Gli Usa sono irritati dalla progressiva normalizzazione internazionale, soprattutto da parte araba, dei rapporti con il presidente siriano Bashar Assad – dopo l’isolamento in cui è stato tenuto per dieci anni -, che è stata accelerata dal terremoto che ha devastato Siria e Turchia e anche dall’accordo di riconciliazione raggiunto a Pechino da Iran e Arabia saudita. Preoccupazione sfociata due giorni fa, per l’anniversario della guerra in Siria, in una dichiarazione di Usa, Francia, Germania e Regno Unito in cui i quattro paesi affermano che non normalizzeranno le relazioni con Damasco fino a quando non vi saranno quelli che descrivono come «progressi autentici e duraturi verso una soluzione politica al conflitto», in parole povere la rimozione dal potere di Assad.

Il presidente siriano però non ha alcuna intenzione di uscire di scena, ora che la sua posizione si è persino rafforzata. E pone paletti persino ai piani diplomatici degli alleati russi. Durante la sua visita a Mosca due giorni fa, Assad si è detto pronto a incontrare Recep Tayyip Erdogan solo se il leader turco ritirerà le sue truppe dalla Siria. «Un incontro con Erdogan sarà possibile quando la Turchia si dichiarerà pronta, chiaramente e senza esitazione, a un ritiro totale (dei suoi militari) dal territorio siriano. Ankara dovrà anche smettere di aiutare il terrorismo», ha chiesto il presidente siriano, riferendosi al sostegno della Turchia a gruppi armati che si oppongono al governo siriano. «Che interesse ci sarebbe a organizzare l’incontro se questo non portasse a una conclusione del conflitto in Siria?» ha affermato perentorio Assad. Parole che hanno raffreddato gli entusiasmi di Vladimir Putin desideroso di portare Siria e Turchia alla riconciliazione così come ha saputo fare il leader cinese Xi Jinping con Tehran e Riyadh. Per questo non è stata annunciata una data o una sede di una possibile riunione dei ministri degli Esteri di Siria e Turchia, la prima dall’inizio della guerra in Siria nel 2011.