È stato detto che in America qualsiasi ipotesi di socialismo è impossibile perché lì i poveri non si vedono come proletariato sfruttato ma come milionari in temporaneo imbarazzo.

È l’effetto di quel perenne stato di ubriachezza suscitato dal cosiddetto «sogno americano», che a grandi linee così recita: buttati nella mischia del libero mercato, impegnati con tutte le forze e guadagnerai la felicità che ti meriti. L’utopia più assurda di tutte, diceva Baudrillard, perché vissuta come fosse una cosa già realizzata.

Che poi, definirlo un sogno esclusivamente americano sarebbe riduttivo.

C’è stata una lunga fase, a cavallo del millennio, durante la quale una simile ubriacatura ideologica è dilagata anche dalle nostre parti. La fantasia di arricchirsi tentando di fare gli “influencers” o i “bitcoiners” è tra i sintomi recenti di una febbre che ha colpito intere generazioni anche da questo lato dell’Atlantico.

Qualcosa del vecchio mito, tuttavia, sembra oggi scricchiolare. Un sondaggio del Wall Street Journal rivela che ormai solo il 36% degli americani crede nel sogno americano, laddove un decennio fa erano più del 50%. Lo stesso sondaggio mostra che alla domanda se il sistema economico e politico sia «contro persone come me», oltre la metà degli intervistati risponde affermativamente.

Insomma, il sogno americano perde colpi, e così diventa anche più difficile da esportare. Non è un caso che nei rispettivi sondaggi europei la fiducia nell’idea del «farsi da sé» è declinata vistosamente, soprattutto a partire dalla grande recessione del 2008.

Questo cambio d’umore nello spirito del tempo non è un capriccio del caso. I dati sulla mobilità sociale indicano che in larga parte dell’occidente la probabilità dei figli di situarsi in una classe di reddito diversa da quella dei genitori è sempre più bassa: ossia, i figli dei poveri restano poveri e i figli dei ricchi restano ricchi, indipendentemente da volontà e capacità personali.

Questa tendenza all’immobilismo sociale, in particolare, si registra soprattutto nei paesi caratterizzati da gravi disuguaglianze di reddito. È quella che gli economisti chiamano «curva del Grande Gatsby»: dove maggiori sono le disparità tra le classi sociali, è anche maggiore l’immobilismo reddituale da una generazione all’altra.

Una tale tenaglia di ingiustizie si rileva in moltissime nazioni, tra cui il Regno Unito e, ahinoi, l’Italia. Ma una stretta ancor più violenta avviene proprio negli Stati Uniti. La crisi egemonica americana si manifesta così in varie forme: non solo nella perdita di competitività e nel debito verso l’estero, ma anche nel non riuscire più a illudersi che ognuno possa perseguire la felicità in base ai propri meriti.

Viene allora da chiedersi se sia giunta l’ora di cacciare in soffitta la vecchia ideologia e dare avvio a una critica dell’ottuso individualismo che sottende al sogno americano. Per un po’ ci ha provato Bernie Sanders, rievocando l’amara constatazione di Malcolm X: «Quello americano non è un sogno, è un incubo».

Ma in generale non sembra che i tempi siano ancora maturi per un risveglio collettivo. Lo dimostra il ricorso degli altri leader politici alla solita propaganda onirica. Vale pure per Donald Trump: che in effetti aveva annunciato la «morte del sogno americano», ma solo per promettere la sua resurrezione una volta che gli elettori lo riporteranno alla Casa Bianca.

Declino americano è anche continuo rimestare nella solita, assurda falsa coscienza.

Gli Stati Uniti e le democrazie liberali satelliti stanno dunque fallendo proprio nel perseguire i loro stessi miti individualistici. A prima vista, sembra uno spot perfetto per i fautori del più ingenuo «campismo», secondo cui tutto ciò che è anti-occidentale deve ritenersi in quanto tale cosa buona e giusta.

Il problema è che dall’altra parte del mondo non va molto meglio. Durante la fenomenale ascesa ai vertici dell’economia mondiale la Cina ha sollevato le sue grandi masse dalla fame ma è pure rimasta serrata in una morsa analoga a quella americana, fatta di crescente disuguaglianza e immobilità sociale. Il capitalismo potrà anche assumere varie forme, ma i coacervi di ingiustizie che porta con sé si somigliano un po’ ovunque.