Il primo ministro dell’India Narendra Modi si è detto fortemente contrario alla possibilità di riconoscere e legalizzare i matrimoni gay nel paese, dichiarando che «l’omosessualità è un concetto d’élite che attacca i valori religiosi e sociali dell’India».

Nonostante la chiara posizione assunta dal partito al potere, la Corte suprema ha dichiarato che nelle prossime settimane ascolterà i membri della comunità Lgbtq per discutere la legalizzazione delle unioni civili omosessuali. Il presidente della Corte ha parlato del matrimonio gay come di una questione di «estrema importanza» che non può essere più rimandata e ha affidato il caso a una commissione composta da cinque giudici.

GLI ATTIVISTI, le coppie omosessuali e gli avvocati impegnati nella lotta sono positivi e fiduciosi. Negli ultimi anni, la Corte suprema si è mostrata molto aperta a questo tema: nel 2014 ha riconosciuto i transessuali come “terzo genere” facendo della privacy un diritto costituzionale. Nel 2018 ha abolito la legge in vigore dall’epoca coloniale che criminalizzava l’omosessualità. L’anno scorso, ha difeso le relazioni “atipiche” (tra coppie non sposate o queer) definendole “tradizionali” esattamente come quelle tra etero.

Anche se per ora la commissione si concentrerà sulla legalizzazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, la comunità Lgbtq mira a ottenere gli stessi diritti delle coppie eterosessuali, tra cui divorzio, passaggio di proprietà e adozione.

A fine aprile, la Corte suprema ha avanzato la proposta di aggiudicare sussidi sociali alle coppie omosessuali anche senza il riconoscimento legale dell’unione. Mentre il vice procuratore generale dell’India ha dichiarato che «il diritto di amare, vivere, scegliere il proprio partner e il proprio orientamento sessuale è un diritto fondamentale». Ha anche aggiunto che tale decisione non può essere presa da cinque giudici, che non spetta alla corte ma bensì al parlamento discutere gli aspetti socio-legali del matrimonio.

IL GOVERNO AL POTERE e i suoi sostenitori non sono le uniche forze ad opporsi. Anche numerosi gruppi religiosi che abitano l’India, tra cui hindu, musulmani, jain, sikh e cristiani, hanno espresso pubblicamente la loro preoccupazione. La legalizzazione delle unioni tra coppie dello stesso sesso andrebbe infatti ad alterare il «naturale ordine della procreazione e della famiglia», attaccando il sistema famigliare indiano alle sue fondamenta. Il governo centrale e la maggior parte dei leader religiosi cercano di proteggere la sacra istituzione del matrimonio, pilastro che regge e protegge – a loro avviso – la società dell’India dall’influenza occidentale.

NEL TENTATIVO DI SUPERARE gli ostacoli posti dal governo e dai suoi alleati, i giudici incaricati dalla Corte pensano di includere la comunità Lgbtq nello Special Marriage Act del 1954, che da allora consente a persone di caste e religioni diverse di sposarsi. Nel caso la Corte suprema riuscisse in questa ardua impresa, l’India sarebbe il 35esimo paese a legalizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso e il secondo in Asia, dopo Taiwan.