Editoriale

Una volta l’anno, specialmente quest’anno

Gaza, foto Mustafa Hassouna /Anadolu via World Press Photo 2024Gaza – Mustafa Hassouna /Anadolu via World Press Photo 2024

La piazza libera Parliamo di guerra. Milano nel pieno del suo delirio ufficiale tra qualche giorno dovrà prendere coscienza di essere anche la città medaglia d’oro per la Resistenza. Ammettiamolo, nonostante il rituale […]

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 20 aprile 2024

Parliamo di guerra. Milano nel pieno del suo delirio ufficiale tra qualche giorno dovrà prendere coscienza di essere anche la città medaglia d’oro per la Resistenza.

Ammettiamolo, nonostante il rituale della convocazione istituzionale che ça va san dire deve essere antifascista e contro le destre, non è facile pensare un 25 aprile difficile come questo mentre siamo in preda a una patologica euforia che pare rianimare anche gli infelici.

La messa in scena del fuori salone del mobile con migliaia di eventi per turisti danarosi (è la week più remunerativa per la borghesia proprietaria che campa affittando pochi metri quadri a 400 euro al giorno) in questi giorni si incrocia con l’agitazione da derby per il probabile scudetto stellato dell’Inter.

Il calendario di Milano si conferma il solito lunapark. Che siano week libresche per lettori della sinistra liberal, apericene sensoriali, sul piano culturale e politico la città sembra il set di plastica di una fiction sul mondo nuovo. Piuttosto ben riuscita.

Se questo è il quadro, dove opposizione e dissenso possono esistere solo ritagliandosi momenti di solitudine – lo spazio pubblico e anche le cene tra amici ormai sono diventati luoghi della rimozione, parliamo forse di guerra? – come è possibile che giovedì a Milano prenderà forma la prima grande manifestazione popolare contro tutti i massacri in corso e futuri?

Sarà un corteo disunito, forse litigioso e rancoroso, ma più che mai necessario e libero di manifestarsi per quello che è. Senza censure o auto censure, che è anche peggio.

Le scaramucce per addetti ai lavori rendono impossibile un’adesione sentimentale agli spezzoni di buona parte della politica organizzata, e del resto la crisi della rappresentanza da anni è palpabile proprio in questa piazza che è la più libera e sincera di tutte.

Ecco perché c’è uno strano silenzio attorno a questo settantanovesimo anniversario della Liberazione. E poi, come ha risposto il fisico Carlo Rovelli su queste pagine, «la maggioranza della sinistra dei paesi occidentali, compreso il nostro, è più bellicosa della destra».

Ne riparleremo dopo il 25, le elezioni europee sono alle porte, l’obiezione è difficile da digerire ma impossibile da rimuovere.

La sensazione che il corso degli eventi segua una logica inesorabile è forte e prevalgono sentimenti di impotenza e rassegnazione.

Eppure qui a Milano si avverte almeno un’urgenza, un sentire comune sussurrato fuori dai denti, la necessità di uno sfogo che viene criminalizzato ovunque nel mondo (il nostro mondo).

È un sentimento diffuso di sgomento e paura.

Paura per la guerra, per la postura guerrafondaia delle élite europee che genererà nuovi conflitti e per la tragedia di Gaza che non riusciamo nemmeno a nominare.

Sono settimane che si discute sullo striscione di apertura del corteo, è incredibile che ci sia qualcuno che abbia avuto da ridire se decine di migliaia di persone – grazie all’Anpi – sfileranno dietro alla scritta «Cessate il fuoco ovunque». È il minimo che si possa dire, l’alternativa è il massacro.

E questo 25 aprile, inutile far finta di niente, sarà segnato proprio da coloro che non ci stanno a congelare la memoria antifascista per non guastare la festa. Bisognerebbe ringraziarli.

In questa piazza che ogni anno celebra la liberazione nessuno può dare lezioni su come bisogna starci e con quali «parole d’ordine», perché Milano almeno un giorno all’anno oltre a saper festeggiare ha sempre dimostrato che democrazia è anche conflitto e dissenso.

Da Porta Venezia a piazza Duomo lo spazio – forse l’unico rimasto – è ancora liberato e prendere una posizione più che un diritto dovrebbe essere un dovere.

Qui, le posizioni discutibili si discutono.

Speriamo che se ne rendano conto anche la polizia e la cosiddetta “testa” del corteo. Oggi sono una necessità e non un problema le centinaia di bandiere della Palestina che sfileranno per denunciare un orrore indicibile.

La comunità palestinese di Milano da mesi, ogni sabato, si concede il lusso di manifestare contro il massacro in corso a Gaza. Non saranno soli e probabilmente giovedì troveranno solidarietà ovunque nel corteo.

Sono decenni che andiamo dicendo che la Storia con tutti i suoi orrori non si cancella. Siamo qui proprio per questo. Se poi c’è il sole, noi che possiamo permettercelo, saremo anche un po’ felici.

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