«Quando parliamo di accessibilità della cultura pensiamo a come estendere la fruizione. Ma a me interessa accedere alla produzione della cultura». Lo afferma Brigitte Vasallo consapevole o meno di essere in linea con lo slogan della seconda edizione del Festival di letteratura working class di Campi Bisenzio: Non siamo qui per intrattenervi.

Vasallo interverrà oggi (alle 21) in un panel con Sara Farris, Eugenia Prado Bassi e Giusi Palomba.«Racconterò della ricerca che sto conducendo sulla scomparsa del mondo contadino. Tra i vari spunti, sto intervistando madri, padri e caregiver che non hanno trasmesso ai figli la loro lingua madre in favore di quella scolastica. Se qualcuno vuole donare la sua storia può scrivere alla mia mail: perderelnorte@gmail.com».

Nel 2022 e nel 2023 sono stati tradotti in italiano due libri a firma della scrittrice, ricercatrice e drammaturga spagnola. Entrambi trattano questioni critiche: l’amore e il linguaggio. Temi enormi che vengono capovolti e agitati da Vasallo e quasi magicamente si finisce a parlare di nazionalismo e classe sociale.

«Per una rivoluzione degli affetti. Pensiero monogamo e terrore poliamoroso», edito da Effequ, è una critica alla monogamia, ma anche una critica del poliamore…

Avevo 20 anni di pratiche non monogame alle spalle e c’era sempre qualcosa che non tornava. Così ho iniziato a indagare. La prima cosa che ho scoperto è che stavamo cercando di smantellare la monogamia senza sapere cosa fosse. Accettavamo le definizioni che provenivano da un’antropologia eurocentrica del XIX secolo.

Se partiamo dall’idea che la monogamia è definita dal fatto di essere una relazione a due se ne deduce che, moltiplicando le relazioni, quel sistema scomparirà.

Questo ragionamento calato all’interno di un contesto di consumo capitalista porta un risultato ovvio. L’emergere di una forma di iperconsumo degli affetti, che si adatta al sistema monogamo. Il sistema monogamo ci ha spinto a organizzarci in nuclei sempre più piccoli e la coppia è quasi l’ultima forma di comunità che abbiamo nelle società urbane.

Nel suo libro si parla del legame storico tra monogamia e capitalismo. E c’è un parallelo tra monogamia e nazione.

Il lavoro di Monique Wittig mi ha guidato, il modo in cui affronta la questione dell’eterosessualità, la rimuove dalla pratica, la riporta al sistema e da lì sviluppa il concetto di pensiero eterosessuale. È ciò che cerco di fare anche io. Non parlo di monogamia ma di pensiero monogamico, di come la prima sia una forma di organizzazione sociale attraverso gli affetti.

Non si tratta di quante persone ci sono nella coppia, ma del ruolo che occupa nella società e di come quel ruolo non sia frutto di una scelta libera. Il pensiero monogamo ci organizza gerarchicamente, mettendo al centro quel nucleo e creando una graduatoria che lascia indietro altre forme di legame.

La coppia diventa la nostra identità. Ed è in competizione con il fuori. Deve essere meglio di tutto il resto. Anche la nazione si costruisce così, genera un «noi» riproduttore come il noi della coppia, che nasconde le disuguaglianze interne e dice che quello che siamo è meglio di qualsiasi altra cosa. Tutto il resto è un potenziale nemico che ci dissolverà.

Smontare l’amore romantico vuol dire astenersi dal sentimentalismo?

A volte si pensa che per essere «politici» serva un’amarezza di fondo. Ho iniziato a parlare di «amore Disney» invece di «amore romantico», nonostante la genealogia del concetto sia proprio quella, nell’Europa del XIX secolo, perché il termine ci stava confondendo. Sembrava che stessimo proponendo di smetterla con le cene al chiaro di luna.

L’amore Disney non è una forma di amore ma è una narrativa sull’amore. C’è il principe, ma può essere anche la principessa. Cambiando i generi la struttura resta invariata.

La prima cosa è essere scelti. Sei quello o quella giusta. Sei una persona migliore delle altre. Questa è la storia di Disney. Lo sguardo degli altri che ti restituisce il valore che hai. Questo è pericoloso.

Ma c’è un’altra cosa pericolosa e cioè l’idea che i tuoi pari sono, come nel caso delle fiabe, tuoi rivali. Una persona di classe superiore ti porterà fuori dai tuoi pari perché tra loro stai male. Alla fine di questo tunnel ci sono i femminicidi.

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Le persone povere, sfruttate, precarie hanno tempo e modo di essere non monogame?

Nella mia ricerca sulla scomparsa del mondo contadino affronto anche la questione delle relazioni familiari. Ho scaricato l’albero genealogico della famiglia reale britannica. È un albero, ma noi non siamo così. Noi siamo forse più un rizoma.

Penso a quante madri ci sono nelle società contadine. C’è la madre, ma anche la nonna. Quando le braccianti dovevano emigrare, le nonne erano le uniche madri che restavano. Ci sono le sorelle maggiori e ci sono le madri di latte. Non può esserci un albero genealogico.

Per arrivare alla domanda: una persona povera ha tempo? Se mi chiedi se ha tempo per avere sette «amori Disney» ti direi di no. Se invece mi stai chiedendo se per una persona povera è un sollievo avere una rete di affetti, sessualizzata o meno, che si senta responsabile del suo benessere, del suo sostegno, allora dico di sì. Una rete affettiva di sostegno, che sia sessualizzata o meno. Perché l’esclusività sessuale è una conseguenza del pensiero monogamo.

Quando le tue risorse primarie, chi ti aiuta ad arrivare alla fine del mese, chi si prende cura di te quando sei malata, dipendono solo dalla coppia e ciò che definisce la coppia è proprio la relazione sessuale a quel punto l’idea che il tuo partner faccia sesso con un’altra persona ti terrorizza. Se invece organizziamo diversamente tutto ciò, il sesso perde forza nell’equazione.

In «Linguaggio inclusivo ed esclusione di classe», (Tamu) si affronta il tema delle parole. Cosa vuol dire oggi portare le lotte nella sfera del linguaggio?

Una delle cose che mi preoccupa di più al momento è che c’è un irrigidimento del pensiero, aggravato dall’emergere trionfante dell’estrema destra. Non possiamo permetterci un pensiero rigido da contrapporre a un altro pensiero rigido. Come portare il conflitto nel linguaggio? Pensando al linguaggio come qualcosa di adattativo.

La chiave non è il contenuto ma il metodo. Se non è adattativo, è la stessa cosa che ci viene proposta dal linguaggio violento del potere.

Nel linguaggio di genere ci preoccupiamo di come le nostre soggettività vengono nominate affinché siano incluse. Ma incluse da chi e dentro cosa? A me preoccupa non come veniamo nominati ma cosa e come nominiamo. Non ho bisogno di un nuovo pronome universale. Quello che voglio è la consapevolezza che questo campo è nostro, che il linguaggio è di chi lo parla.

Una rassegna sotto attacco

Non è un evento letterario come gli altri. È stato chiaro da subito, quando un anno fa si è deciso che il primo Festival di Letteratura working class d’Italia si sarebbe tenuto presso il presidio di fabbrica Ex Gkn di Campi Bisenzio.

Il Collettivo di Fabbrica, che ieri ha contato il millesimo giorno di assemblea permanente, ha deciso di ripetere la sfida quest’anno, nonostante gli attacchi frontali della società liquidatrice. Borgomeo, vertice della Qf, l’azienda che doveva pianificare la reindustrializzazione e invece ha decretato la svendita dell’impianto, ha provato nei giorni scorsi a fare entrare dei vigilantes privati che impedissero l’accesso ai cancelli della fabbrica. Fallito questo tentativo si è rivolto a Piantedosi per chiedere un intervento di ripristino dell’ordine pubblico.

Tre giorni fa, invece, è stata manomessa da ignoti la centrale elettrica della fabbrica. Il festival però si svolgerà lo stesso dato che la lotta è nel suo Dna.