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Una strategia energetica di transizione

Ambiente/Italia Confermata l’uscita del carbone dal 2025 e alzato un po’ l’obiettivo per le rinnovabili per la produzione elettrica al 55%, ma siamo ancora lontani dalle emissioni zero di gas serra e anche il taglio dell’80%, fissato dalla Roadmap europea, non verrà raggiunto

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 11 novembre 2017

La nuova Strategia energetica nazionale (Sen) presentata ieri dai ministri dello sviluppo economico Carlo Calenda e dell’ambiente Gianluca Galletti – assieme al Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni – contiene degli elementi di novità significativi.

Viene confermata l’uscita del carbone dal sistema energetico dal 2025, alzato un po’ l’obiettivo per le rinnovabili per la produzione elettrica al 55%. Rispetto alla Sen presentata dal governo Monti, incentrata sull’Italia come «hub del gas naturale» c’è un cambiamento di registro, anche se rimane evidente come la strategia incorpori la «mediazione» tra gli interessi di mercato del gas naturale e quelli delle rinnovabili.

Il ministro Calenda ha presentato la Sen parlando di uno strumento che serve anche ad acquisire una nuova «consapevolezza» in campo energetico. Credo si riferisca anche al fatto che il ruolo delle rinnovabili come asse centrale del sistema energetico, e non più come fonte complementare, era stato proposto finora solo da una parte minoritaria. Eppure, non erano mancate né le evidenze in campo nazionale né le informazioni provenienti da mezzo mondo a mostrare come davvero c’è una rivoluzione energetica in corso.

L’Italia ne è stata peraltro protagonista: nel 2011, l’anno del referendum sul nucleare, furono installati oltre 11 mila MW da fonti rinnovabili in un solo anno, con una maggioranza di impianti solari. Cosa che non era stata prevista da nessuno, a proposito di consapevolezza.

A questo balzo poi seguì una rabbiosa reazione anti-rinnovabili, spinta da parte di chi aveva perso quote di mercato (gas in primis). Questo inizio di «rivoluzione energetica» è stato possibile anche per tantissime cittadini, famiglie e piccole realtà – gli «energy citzien» o prosumer – che vengono appena citati dalla Sen, ma senza obiettivi quantitativi.

La Sen contiene dunque alcune novità positive e consente all’Italia di essere il quarto dei Paesi del G7 a programmare l’uscita del carbone dal sistema energetico, cosa rilevante sul piano del messaggio politico. Tutto bene allora? Non del tutto. Se, correttamente, la Sen presenta la proiezione della strategia al 2050, si vede che la «decarbonizzazione» – cioè l’obiettivo di emissioni zero di gas serra – è ancora lontana e che anche gli obiettivi della Roadmap europea – un taglio dell’80% – non verranno raggiunti. Sarebbe stato logico fare al contrario: definire gli obiettivi di lungo periodo e ricavare quelli al 2030 di conseguenza.

Si è invece mediato al ribasso sull’obiettivo intermedio – tutelando la quota di mercato del gas – e fatta una proiezione al 2050 che risulta insufficiente.

Certo, è solo una proiezione e il dibattito – e gli scenari – andranno aggiornati. Gli obiettivi europei al 2030 – presi a riferimento dalla Sen – andranno rivisti al rialzo nell’ottica dell’Accordo di Parigi. Ma finora l’Italia ha giocato più dalla parte della Polonia – frenando il dibattito – che per obiettivi più impegnativi come chiesto da alcuni Paesi del nord europa. È bizzarro come, invece, parte dell’industria elettrica europea – Enel in testa – abbia già chiesto un rialzo degli obiettivi europei dal 27 al 35% della quota di rinnovabili sul totale dei consumi energetici: se non lo si fa si danneggerebbe persino la crescita tendenziale del mercato.

C’è una dinamica – relativamente nuova – tra quella parte dell’industria che ha già puntato decisamente sulle fonti rinnovabili e che chiuderà il carbone, e quella che si basa su gas e prodotti petroliferi. Una dinamica nuova e, al momento, chiaramente visibile solo in Italia, che ha giocato negli obiettivi della Sen.
Se dunque, dopo tre anni di sostanziale fermo nel settore delle rinnovabili, la Sen delinea un indirizzo più chiaro per il futuro, sui numeri è però ancora insufficiente non solo alla sfida richiesta dall’Accordo di Parigi, ma persino e per quella che parte dell’industria più avanzata già chiede.

* direttore Greenpeace Italia

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