Quello di Hernan Diaz, Trust (Feltrinelli, pp. 384, euro 22, traduzione di Ada Arduini), è un grande romanzo sulla civiltà americana, sull’Occidente liberale. Raccontando un secolo e mezzo di storia finanziaria statunitense, ci fa comprendere la malattia del nostro mondo di oggi. Aiutandoci a dimenticare gli editoriali di Federico Rampini, che tormentano il nostro sonno, ci fa fare i conti con la natura del denaro, con la speculazione in borsa, col mito dell’investitore di successo. Non solo. Trust è un romanzo sul patriarcato, sul rapporto intimo tra ricchezza e mascolinità, tra moneta e smania di dominio di un sesso sull’altro.

La storia è una, ma viene raccontata – nel romanzo – quattro volte, da quattro figure diverse. Si tratta della vita di una coppia: lui, Andrew Bevel, finanziere; lei, Mildred Bevel, matematica geniale e filantropa, amante della musica e dell’arte in generale, fonte invisibile del trionfo economico del marito. A raccontare, la prima volta, è un amico di Mildred, Harold Venner. Con un romanzo dal titolo Fortune. Evidentemente innamorato di Mildred, che diventa Helen Brevoort, ne racconta la vita vittima di due follie, quella del padre e quella del marito; sino alla follia di Helen, confinata in una clinica psichiatrica svizzera. Il romanzo è struggente: Helen, straordinaria per intelligenza e sensibilità, è una vittima e niente più.

LA SECONDA VOLTA, narra la storia Andrew Bevel. Il mito è all’opera: «Sono un finanziere in una città governata da finanzieri. Mio padre era un finanziere in una città governata da industriali. Suo padre era un finanziere in una città governata da commercianti». Tutto comincia col bisnonno William, che lascia la Virginia per raggiungere New York e far fruttare gli affari di famiglia, la coltivazione di tabacco. L’embargo del 1807 voluto da Thomas Jefferson in risposta alla Corona inglese, drammatico per l’economia americana, si trasforma nel volano del successo di William: ipotecando la proprietà familiare, si indebita fortemente ma acquista cotone dal Sud e zucchero dalla Louisiana. Finito l’embargo, William vende all’Europa facendo grandi affari, ma soprattutto accumulando un capitale col quale offre credito a tassi vantaggiosi. Pioniere dei contratti a termine, William moltiplica i suoi affari con i buoni del tesoro emessi per finanziare la guerra del 1812.

Attraverso la vita della sua famiglia, Andrew Bevel ricostruisce un secolo e mezzo di storia finanziaria a stelle e strisce, da una crisi all’altra. Se il bisnonno trova la sua occasione con l’embargo del 1807, Andrew Bevel sfrutta il panico del 1907, quello che si risolverà con la nascita della Fed (1913). Compare anche Mildred: lucida, semplice, innocente, calore nel freddo della vita d’affari. Mildred è una benefattrice; femminile, col suo spiccato senso estetico. Mildred si ammala (tumore) e Andrew si mobilita, ma non c’è nulla da fare. Unico aiuto, l’ottimismo ingenuo che caratterizza la personalità di Mildred. Intanto l’America cambia, la seconda rivoluzione industriale è in corso: elettricità e automobile, Ford e Taylor, catena di montaggio ed euforia finanziaria. Gli anni Venti, che conosciamo attraverso i capolavori di Fitzgerald, sono da Bevel descritti come la sua, privata e meritata, conquista del cielo. Fino al crollo del 1929, nel quale Bevel moltiplica i successi. Ma nel 1933 l’America cambia ancora, con il New Deal, con la nascita del Cio e gli scioperi selvaggi: Bevel, e quelli come lui, vengono additati come parassiti.

IL SUCCESSO di Andrew Bevel, in realtà, è quello del quale dà conto John Maynard Keynes col suo capolavoro del 1936, la General Theory. Lo speculatore anticipa il mutamento repentino della convenzione, quella che orienta le scelte degli investitori nei «mercati organizzati di titoli»; così facendo, «spenna i polli», lasciandoli con in mano l’uomo nero o senza sedia, quando la musica si interrompe – i giochi di infanzia a cui fa riferimento Keynes, per descrivere la «guerra d’astuzia» della finanza. Solo alla fine del romanzo, quando è Mildred a raccontare col suo diario, scopriamo che è lei, a svelare il segreto del futuro al marito. Lui ne approfitta, conquistando il cielo, ma si sente come «evirato» dalla superiorità della moglie.

È nel terzo racconto però, quello di Ida Partenza, che il romanzo di Diaz dà il meglio di sé. La civiltà americana è un’altra: è fatta di immigrati italiani, che la ricchezza US la fanno col loro lavoro sottopagato; anarcosindacalisti dell’Iww. Il padre di Ida è un tipografo che le insegna cos’è il denaro: «I soldi sono una merce di fantasia. I soldi non si possono indossare o mangiare, ma rappresentano tutto il mangiare e i vestiti del mondo. Per questo sono una finzione». Ida viene assunta da Bevel per rispondere, con un’autobiografia, al danno di immagine provocato da Fortune. Diventerà una scrittrice, senza aver mai potuto scrivere su Mildred e Andrew. Quando è ormai settantenne, accede ai diari di Mildred e scopre la verità. Da Venner al marito, oscurandone la grandezza per loro imprendibile, l’hanno voluta «rimettere al suo posto».