Editoriale

Una piccola pezza per una grande piaga

Una piccola pezza per una grande piagaMilano 2015 – Federico Ferramola/LaPresse

Nel giorno in cui si vede assegnato dall’Europa il ruolo di capofila nella guerra ai poveri del resto del mondo nella persona del ministro di polizia Minniti, il governo italiano […]

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 30 agosto 2017

Nel giorno in cui si vede assegnato dall’Europa il ruolo di capofila nella guerra ai poveri del resto del mondo nella persona del ministro di polizia Minniti, il governo italiano vara un provvedimento legislativo a firma del suo ministro del Lavoro Poletti che dovrebbe suonare come prova di attenzione verso i poveri nostrani (una sorta di risposta al grido sovranista: «Pensiamo alla povertà degli italiani»). Ma che in realtà, a leggerlo con attenzione, suona più come beffa che come riconoscimento.

Si tratta, è bene ricordarlo, del decreto attuativo della legge delega approvata in via definitiva a marzo dal Senato.

E già a suo tempo salutata dai suoi fautori come una svolta storica (il primo strumento «universalistico» di contrasto alla povertà in un Paese che era rimasto pressoché l’unico in tutta Europa ad esserne sprovvisto).
Ma nello stesso tempo severamente criticata da quanti abbiano della piaga della povertà e del contrasto ad essa una conoscenza diretta. Dichiarata insufficiente nell’estensione della sua copertura, inadeguata nella dotazione finanziaria, generica e farraginosa nei meccanismi di governance della sua applicazione. Una piccola pezza su una grande piaga, la definii allora sul manifesto. E di fronte al testo attuale non cambierei di un millimetro il giudizio.

Erano 400mila le famiglie destinatarie del provvedimento allora, per un totale di poco più di un milione e mezzo di persone. E 400mila restano ora, per una platea più o meno simile. Ma le famiglie in condizione di povertà assoluta sono, secondo l’ultima rilevazione Istat, 1.600.000, per un totale di 4.600.000 persone, cioè tra le tre e le quattro volte tante.

E i «poveri assoluti» sono, tecnicamente, quelli che non ce la fanno a procurarsi il minimo indispensabile per una vita dignitosa: per alimentarsi, vestirsi, curarsi, mettersi un tetto sulla testa, mandare a scuola i figli. Circa tre quarti dei poveri assoluti restano dunque senza copertura. La quale a sua volta appare ben misera: tra i 190 e i 490 euro al mese. Una goccia nel mare del bisogno. Il livello massimo dell’erogazione prevista corrisponde alla soglia minima di povertà assoluta stabilita dall’Istat per il 2016: quella relativa ad un pensionato singolo residente in piccoli comuni del Meridione. Se si trattasse di una coppia la soglia salirebbe di altri 200 euro. E per le famiglie con un solo figlio a carico nelle stesse aree territoriali si passerebbe a più di mille euro (il doppio di quanto previsto dal decreto)…

E poi ci sono le condizioni, richiedendo appunto la legge la cosiddetta «prova dei mezzi» e stabilendo barriere alte all’accesso: aver minori in famiglia, un Isee inferiore ai 6000 euro, l’adesione «a un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa finalizzato all’affrancamento dalla condizione di povertà» secondo modalità che lo fanno assomigliare più a una tipica poor law ottocentesca che a un moderno sistema di garanzia universalistica. Più che un reddito «d’inclusione» si direbbe un reddito «d’esclusione» per l’ampiezza della platea che ne resta fuori. E la ristrettezza delle risorse messe a disposizione: del miliardo e ottocento milioni con cui è finanziato, infatti, solo un po’ più della metà è costituito da «denaro fresco», oltre 600 milioni sono ricavati dall’accorpamento di altre voci di spesa sociale e dunque dal taglio di altri sussidi…

È una cifra assai misera, per non dir miserabile. Di sicuro inferiore a quella che destineremo alle politiche di contenimento dei flussi migratori: ai Signori della Guerra del Niger, del Ciad, delle frontiere sahariane, alle milizie che faranno per noi il lavoro sporco di sbarrare la strada dall’Africa subsahariana, ai capi tribù del Sahel e del Fezzan reclutati da Minniti, agli ex scafisti riconverti in gate keepers per tenere a crepare nel deserto i poveri che ora venivano a sbarcare e talvolta a morire sulle nostre spiagge… Sarebbe stato assai più saggio, quei soldi sporchi di sangue, destinarli al contenimento della povertà assoluta in Italia più che al contenimento dei flussi di poveri del mondo. Avremmo in qualche misura contribuito a prosciugare i bacini dell’odio e del risentimento che crescono nelle aree della deprivazione.

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