Una mezza svolta per i vulnerabili, il resto è un disastro
Cop 27 La delusione per una Cop senza passi avanti sulla fuoriuscita da tutte le fonti fossili è stata in parte attenuata da un elemento di speranza: l’accordo sul fondo per le […]
La delusione per una Cop senza passi avanti sulla fuoriuscita da tutte le fonti fossili è stata in parte attenuata da un elemento di speranza: l’accordo sul fondo per le perdite e i danni dovuti alla crisi climatica.
Un passo avanti per la giustizia climatica, anche se rimane ancora da definire nei suoi termini operativi. Com’è noto, molti dei Paesi maggiormente colpiti dalla crisi climatica non ne sono particolarmente responsabili, avendo contribuito ben poco alle emissioni storiche di gas serra. In linea di principio, dunque, un riconoscimento di giustizia ai Paesi in via di sviluppo che, rimasti compatti e sostenuti dalle associazioni ambientaliste, hanno ottenuto questo importante risultato che andrà concretizzato alla COP dell’anno prossimo negli Emirati Arabi.
Per la prima volta in quasi trent’anni, possiamo finalmente affermare che i Paesi aderenti alla Convenzione sul Clima stanno iniziando collettivamente ad affrontare le conseguenze devastanti della crisi climatica che si sta abbattendo sui più vulnerabili e meno responsabili
La presidenza egiziana e gli altri “petro-stati”, assieme a un piccolo esercito di oltre seicento lobbisti delle industrie fossili, sono riusciti a evitare di rafforzare nel testo finale gli impegni per eliminare progressivamente tutti i combustibili fossili. Dal punto di vista della riduzione delle emissioni di gas serra, non è stata una buona giornata per le persone e il pianeta. È stato stabilito un programma di lavoro sulla riduzione delle emissioni fino al 2026, e c’è un vago riferimento alle energie rinnovabili e alla giusta transizione, ma anche un linguaggio ambiguo sulle “fonti a basse emissioni di carbonio”, che strizza l’occhio agli interessi del gas e del nucleare.
Anche per quanto riguarda la finanza per l’adattamento, cosa diversa dal fondo per le perdite e i danni, il testo è stato un fallimento: nessun aumento rispetto ai 100 miliardi di dollari già promessi e nessun progresso reale sull’impegno di Glasgow per “almeno” un raddoppio dei finanziamenti per l’adattamento entro il 2025. Questa COP, che era stata definita la “COP di attuazione”, su mitigazione, adattamento e finanziamento, non ha invece attuato nulla.
Il giudizio del Segretario generale dell’ONU Antonio Guterres è pienamente condivisibile: il fondo è importante ma il mondo ancora ha bisogna di un salto gigante nell’ambizione sul clima. A destare qualche speranza è stata la ripresa dei colloqui sulla cooperazione climatica tra Stati Uniti e Cina, i due maggiori emettitori di gas serra. C’è un legame tra la questione climatica e il conflitto attuale che rischia ancora di diventare un conflitto globale o, comunque, di ricreare una “guerra fredda” che divida il mondo in due. Come abbiamo già scritto in queste pagine, lo spirito dell’Accordo di Parigi è anzitutto quello di creare un quadro di collaborazione globale contro la crisi climatica che mette a rischio tutti i Paesi. Un quadro di cooperazione importante anche per mantenere la pace. Difficile combattere la crisi climatica se si rischia un conflitto globale, ragion per cui la ripresa del dialogo sino-americano – sul clima e non solo – è un fatto fondamentale.
Nel frattempo, in Italia il governo emana il decreto “Aiuti quater” – noto anche come “Sbloccatrivelle” – che sostituisce alla tanto attesa (e necessaria) decarbonizzazione una non ben definita “ottimizzazione” del sistema energetico nazionale. Il tema della decarbonizzazione – eliminare progressivamente i combustibili fossili e attuare la transizione energetica – è il tema di fondo per combattere la crisi climatica. Non sappiamo ancora se questo emendamento segnerà un cambiamento di rotta del governo italiano, più occupato a promuovere il gas che a sbloccare le rinnovabili. Se nel mondo la politica fossile è promossa dagli stati produttori ed esportatori di petrolio, gas e carbone, e proprietari delle riserve di petrolio e gas, in Italia la politica energetica rimane ostaggio di una azienda come l’ENI che sulle rinnovabili e sulla transizione investe solo marginalmente. Così l’azienda che ha contribuito a industrializzare il Paese, rendendolo dipendente dai combustibili fossili, ora ne frena la transizione ecologica.
* dierttore di Greenpeace Italia
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