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Una manovra tutta da rifare

Una manovra tutta da rifare

Altro che espansiva La legge di stabilità «sfora» solo dello 0,4% ed è tutta a favore delle imprese. Sbilanciamoci! propone un piano di investimenti per il lavoro e una misura per il reddito

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 4 novembre 2015

Prima ancora che nel merito delle singole misure, il problema della Legge di Stabilità 2016 è la visione di fondo. Il presupposto è che per definizione la finanza pubblica è il problema, quella privata la soluzione.

Si continua a pensare la crisi come un carenza di offerta, trascurando una domanda che non riparte per le enormi disuguaglianze e povertà, la mancanza di investimenti pubblici e i problemi strutturali del paese. Una visione riassunta nell’Allegato tecnico del ministero dell’Economia.

Una visione riassunta nell’Allegato tecnico del ministero dell’Economia: «Il Governo e il Mef (in particolare) intenderanno muoversi lungo tre direttrici principali:

  1. perseguire una politica di bilancio di sostegno alla crescita, nel pieno rispetto delle regole di bilancio adottate dall’Unione europea;
  2. consolidare il percorso di riforma strutturale del Paese, per aumentarne significativamente le capacità competitive;
  3. migliorare il contesto normativo in cui si muovono le imprese e le condizioni alla base delle decisioni di investimento».

Nessuno scostamento dai vincoli europei, la competitività come un fine in sé stesso, non una parola sul benessere dei cittadini, la povertà o le diseguaglianze, ma favorire le imprese in ogni modo possibile.
A dispetto delle dichiarazioni su una manovra espansiva, si prevede un deficit per il 2016, al netto della «clausola migranti», inferiore dello 0,4% del Pil rispetto a quello del 2015 (2,2 contro 2,6%), e un avanzo primario fino al 4,3% nel 2019, un valore insostenibile e che strangolerebbe l’economia di qualsiasi Paese. Un’impostazione iniqua ma che forse poteva avere una giustificazione alcuni anni fa, con l’Italia al centro di una bufera speculativa e rendimenti dei Btp oltre il 7%.

Grazie al Quantitative Easing della Bce, oggi i titoli di stato hanno rendimenti bassissimi o negativi. Nel contempo ci sono enormi necessità nel paese. Se non si pensa adesso a un piano di investimenti pubblici, quando è possibile farlo?

Al contrario, l’unica politica industriale consiste nell’accelerare sulle privatizzazioni che, nelle dichiarazioni, dovrebbero abbattere il debito pubblico. Nel migliore dei casi si potrebbe parlare di limare alcuni decimali, rinunciando nel contempo a qualsiasi politica pubblica e mettendo a rischio l’universalità di alcuni servizi, come quello postale.

Manca un piano di investimenti pubblici, delegando al privato, tramite sgravi fiscali e tagli alle tasse, il rilancio di occupazione ed economia. Tagli che sono comunque una parte modesta della manovra, considerando che ben 16,8 miliardi su 26, riguardano le clausole di salvaguardia. Non tagli alle tasse, quindi, ma interventi per evitare un loro aumento, scongiurandole unicamente per il prossimo anno e rimandando il problema. Ma ammesso e non concesso che gli investimenti privati dovessero arrivare, naturalmente andrebbero dove sono maggiori le possibilità di profitto.

Delegare gli investimenti al privato significa il rischio concreto di un ulteriore allontanamento del Mezzogiorno rispetto alle regioni più ricche e un ulteriore aumento delle diseguaglianze.

Del tanto sbandierato «Master Plan» per il Mezzogiorno rimane poco o nulla. Qualcosa per la «terra dei fuochi» e investimenti nelle grandi opere come la Salerno-Reggio Calabria, in attesa magari che torni in voga il ponte sullo Stretto di Messina. Difficile pensare che un privato interessato a massimizzare il profitto a breve possa fornire i «capitali pazienti» per la riconversione ecologica dell’economia, la ricerca, la formazione e gli altri investimenti tanto necessari quanto urgenti sia in termini di creazione di posti di lavoro sia per il Paese nel suo insieme.

Se non ci sono risorse per gli investimenti pubblici, ce ne sono ancora di meno per welfare ed enti locali. A dispetto delle dichiarazioni, i fondi alla sanità subiscono ulteriori tagli, di oltre 2 miliardi rispetto a quanto concordato lo scorso anno tra Regioni e governo e inserito nell’aggiornamento del Def, e di oltre 4 miliardi rispetto alla Legge di stabilità 2015. Tagli a cui si sommano quelli alle Regioni, pari a 3,9 miliardi nel 2017, poi a 5,4 miliardi nel 2018 e 2019. Il tutto si tradurrà o nell’aumento delle imposte locali o in nuovi tagli alla sanità, ai servizi sociali, al trasporto pubblico locale, con impatti principalmente sulle fasce più deboli della popolazione.

Tagli che servono, almeno in parte, per finanziare misure inique come l’eliminazione della tassa sulla prima casa: si aboliscono le ultime tasse patrimoniali in un Paese con scarsissima mobilità sociale e diseguaglianze crescenti. Altrettanto critica è la scelta di alzare a 3.000 euro la soglia del contante, una misura che rischia di avere effetti estremamente pesanti non solo nella lotta all’evasione fiscale ma prima ancora sul riciclaggio.
È necessario muoversi in direzione opposta. Sbilanciamoci! propone un piano di investimenti per il lavoro e l’introduzione di una misura strutturale di sostegno al reddito. L’Italia, assieme alla Grecia, è l’unico paese europeo a non averne una.

Le risorse si potrebbero trovare con politiche differenti, da una vera tassa sulle transazioni finanziarie a tagli non nella sanità o nei trasferimenti agli enti locali quanto per grandi opere inutili quanto dannose, a partire dalla Tav Torino-Lione o le spese militari a partire dagli F35.

In conclusione, una Legge di stabilità pessima da quasi tutti i punti di vista. O meglio, una Legge di stabilità coerente con una visione totalmente sbagliata non solo dell’attuale situazione economica, ma più in generale del ruolo dello stato e delle politiche economiche che può mettere in campo. In cui competitività, export e mercato sono le finalità da inseguire a ogni costo, principalmente sacrificando i diritti ed esasperando diseguaglianze già inaccettabili.

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