La lista delle buone ragioni per scendere in piazza il 7 ottobre a Roma, rispondendo all’appello «La via maestra» della Cgil e di un centinaio di associazioni, è molto lunga. Forse persino troppo lunga. Perché quando dopo tanto tempo si chiamano le masse alla mobilitazione, ragione vorrebbe che lo si facesse per ottenere un risultato e non solo per una, per quanto sicuramente bella, manifestazione.

La vastità del programma – la «piattaforma» – dei due cortei di oggi, che per stare solo ai titoli va dal lavoro alla pace, dal welfare all’istruzione, dall’ambiente alle riforme costituzionali e altro ancora, esclude in partenza un obiettivo tangibile.

Eppure, a guardar bene, oggi questa condizione non è un limite, può anzi diventare un punto di forza. Sicuramente è un punto di partenza.

Ogni singolo titolo nella piattaforma che chiama alla piazza richiederebbe una lotta politica approfondita e radicale. Ne citiamo alcuni.

Il lavoro e il welfare: l’Italia è il paese con la peggior dinamica dei salari tra quelli Ocse e tra i grandi paesi dell’Unione europea quello con la percentuale più bassa di Pil investita in sanità. Le condizioni reali di vita, e di morte, tanto nei posti di lavoro, precari, quanto negli ospedali, precari anch’essi, sono sotto gli occhi di tutti. Le risposte del governo? Una truffa, il carrello «tricolore» contro il carovita, e un inganno: «L’attenzione alla sanità non si misura dagli investimenti».

Di scuola questo governo non vuole sentir parlare, se non in occasione dei fervorini nostalgici del duo Valditara-Sangiuliano, e se provano a parlarne gli studenti sono botte. Quanto all’ambiente, in fatto di negazionismo climatico a palazzo Chigi e e dintorni non sono secondi a nessuno. Mentre per riforme costituzionali intendono la frammentazione egoistica dell’autonomia differenziata in coppia con la centralizzazione verticistica del premierato «all’italiana».

Riuscirà la manifestazione di oggi a far segnare almeno un’inversione di rotta? Non è semplice, sarà bene non dimenticare che dare una prospettiva di successo alle lotte resta la condizione essenziale per tenerle vive. Soprattutto nel nostro paese, dove in passato manifestazioni immense non hanno ottenuto il risultato per il quale erano state convocate e questo ha segnato il tramonto delle grandi battaglie sindacali.

Quella di oggi può essere, al contrario, un’alba. Intanto perché il sindacato non è solo, ma accompagnato da tantissime associazioni, cattoliche e laiche, civiche e politiche, moderate e radicali. Alla vastità del programma corrisponde dunque un fronte altrettanto vasto e questo può significare una sola cosa: che non ci sono piccole correzioni di rotta da fare, ma c’è bisogno di cambiare in profondità il paese.

C’è anche la forza, politica e sociale, che può provare a farlo? Ne vedremo oggi una parte importante in piazza San Giovanni e per le strade di Roma. Dove assisteremo anche a una riconnessione, quantomeno sentimentale, tra la Cgil e le rappresentanze politiche di sinistra e centrosinistra, nonché 5 Stelle malgrado gli «altri impegni» di Conte.

È un fatto importante, anche se la rete che si stende oggi attorno alla Cgil non comprende gli altri grandi sindacati e dunque lascia solo Landini di fronte alla necessità dello sciopero generale.

Nelle piazze si può ricomporre la maggioranza del paese che un anno fa non ha votato per la destra, premiata solo dalla legge elettorale e dalle divisioni dell’altro campo. È nelle piazze che bisogna andare per recuperare quella radicalità e nettezza di proposte necessaria per mettersi in sintonia con le difficoltà dei ceti popolari. E così cominciare a far paura sul serio a un governo che fin qui ha messo in fila errori e ingiustizie ma che ha potuto contare – quasi unico – su una sostanziale pace sociale.

La piazza, la via, è maestra anche per questo.