L’età di Gorbaciov fu quella di una fecondazione fra culture politiche sparse per l’Europa e capaci di circoli virtuosi. Willy Brandt, prima con la Ostpolitik varata al tempio della sua cancelleria, poi con la sua presidenza dell’Internazionale Socialista (1976) creò reti e seminò ovunque concetti capaci di fruttificare. Ad esempio esiste una gran differenza fra la Ostpolitik di Merkel e quella di Brandt: la prima è pressoché esclusivamente interdipendenza economica. Fiducia nella sua capacità di bilanciare le insidie d’una sicurezza Nato a lungo unilateralmente perseguita, cioè di diluire il veleno della sfiducia e poi dell’aggressività russa. La comparazione fra l’oggi e l’epoca di Gorbaciov ci dice insomma che la natura delle culture politiche nazionali (o sovranazionali) può produrre interazioni virtuose o viziose. Infatti, la Ostpolitik di Brandt promuoveva iniziative, concetti e reti orientate a produrre un’interdipendenza non solo economicista, e a creare fiducia in molti campi.

Ciò anche per risolvere il dilemma tedesco: essere potenza economica diventando però attore politico di primo piano, ma dissociando (per sempre) questo ruolo dalla potenza militare. Più in generale, i leader dell’internazionalismo socialista si aprirono a culture politiche di un socialismo diverso (da quello «spurio» del New International Economic Order a quello sudamericano) sulla base (fra l’altro) di un’idea «ampia» di instabilità. L’idea “cold warrior” era che l’instabilità coincidesse grandemente con la manovra occulta dell’avversario. Quella dell’Internazionale Socialista era che la radice almeno principale dell’instabilità fosse socio-economica. Ciò traduceva in senso internazionalista la storia dei paesi europei occidentali: in misura diversa (Svezia, Austria, Germania, tutti) avevano acquisito stabilità solo con la riforma profonda delle rispettive società.
Non stiamo divagando: per questa via si rifiutava anche la dottrina «realista» della stabilità come prodotto esclusivo dell’equilibrio di potenza.

E si sosteneva invece la riduzione dell’instabilità mediante un nuovo rapporto Nord-Sud (la Commissione Brandt). Ma poi conseguentemente, al momento inevitabile di affrontare anche il negoziato sulla sicurezza, per sostenere un altro concetto: non l’equilibrio del terrore, ma la sicurezza condivisa. Eccoci alla commissione Palme: è a questo punto che il rapporto fra le varie facce dell’internazionalismo socialista e Gorbaciov si fa più stringente. Olof Palme comincia a presiedere la commissione quando (come quasi mai capita) la sua socialdemocrazia non è al governo. Eppure i frutti non tardano a venire. A generare il concetto di “sicurezza condivisa” sono numerose e importanti personalità capaci di riportarne nei propri paesi l’impulso.

Ma anche il contatto con reti di leader, futuri governanti, influenti consiglieri. Fra di essi il sovietico Georgi Arbatov, direttore di lungo corso dell’Iskan, centro per lo studio di Usa e Canada. Ma anche (fra i molti) Harlem Bruntland e Joop Den Uyl, la norvegese e l’olandese presto a capo di due paesi Nato. Arbatov, ad ogni modo, ci dice che il rapporto finale della Commissione fu decisivo affinché Gorbaciov diffondesse l’idea di sicurezza condivisa nel proprio paese. Ed Andrei Kokoshin, anche lui alla guida dell’Iskan e forse il più influente esperto sovietico di difesa degli anni 1980, afferma la grande importanza del rapporto finale nello sviluppo della proposta Gorbaciov. Anche grazie a questo l’Urss poté promuovere la «sicurezza condivisa» e la «difesa non offensiva» (altro concetto fertile) nella comunità internazionale degli anni 1980. Poté farlo grazie al coraggio del suo premier e a grandi visioni, ma anche perché i “falchi” del Pcus non poterono accusarlo di astrazione dal mondo reale.

Ciò non significa affatto sminuire la grandezza di Gorbaciov. Significa ricordarlo con ciò che negli anni 1980 gli permise di non reagire aggressivamente alla superiorità Usa e alla pericolosa sfida di Reagan, favorendo invece una straordinaria stagione di fiducia. Furono culture e reti politiche capaci di circoli virtuosi sostituite oggi, ben prima del 24 febbraio, da avvilenti conformismi.