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Una Dichiarazione rivoluzionaria che l’Italia ha tradito

Settant’anni fa l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la Dichiarazione universale dei diritti umani. Quella Dichiarazione è, da un punto di vista storico, una ripartenza dell’umanità, dopo gli orrori […]

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 11 dicembre 2018

Settant’anni fa l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la Dichiarazione universale dei diritti umani. Quella Dichiarazione è, da un punto di vista storico, una ripartenza dell’umanità, dopo gli orrori della guerra mondiale e dei campi di sterminio. Da un punto di vista politico e giuridico, è un atto rivoluzionario, che segna l’inizio di un cambiamento profondo.

Per la prima volta vengono stabilite regole internazionali sul modo in cui deve essere esercitato il potere di governo nei confronti delle persone (tutte: cittadini e stranieri) che a quel potere sono sottoposte (che, dunque, non è più illimitato). Il diritto internazionale classico si occupava di relazioni fra stati, non di ciò che accadeva all’interno degli stati. I diritti umani, come noi li conosciamo, non venivano violati, non perché il potere avesse più rispetto per le persone, ma semplicemente perché non esistevano.

Nessuno si aspettava che dall’oggi al domani tutti i diritti di tutti fossero pienamente rispettati. Quello era ed è tuttora un obiettivo da perseguire, facendo un cammino che si è rivelato forse più lungo e accidentato di quanto padri e madri della Dichiarazione s’immaginavano. Eleanor Roosevelt, che ha presieduto la commissione di saggi che ne ha elaborato il testo, parlava di uno standard of achievement, una specie di indicatore, di successo o meno, per le politiche dei governi. Purtroppo, la Dichiarazione non è mai stata una fonte di ispirazione per chi ricopre ruoli di leadership e di governance. E nessuno pare averla utilizzata come guida di cui tenere conto nella formulazione di politiche e nell’elaborazione di leggi. I diritti umani sono stati e continuano a essere violati in ogni parte del pianeta.

Oggi, però, pare emergere un problema ulteriore. Si diffonde l’idea secondo la quale i diritti umani non sarebbero diritti di tutti. Non sarebbero diritti che spettano a ognuno in quanto persona ma privilegi da meritare, che qualcuno si arroga un potere del tutto arbitrario di attribuire e di negare. Si tratta ovviamente di uno stravolgimento completo della nozione stessa di diritti umani, che o sono di tutti – anche di coloro che non ci assomigliano o non ci piacciono – o non lo sono di nessuno. E di un tradimento dell’art.1 della Dichiarazione, per il quale «ognuno nasce libero e uguale in dignità e diritti».

L’idea che i diritti possano spettare ad alcuni e non ad altri, purtroppo, non è soltanto un’idea sbagliata, ma un’idea produttiva di effetti sulla vita di milioni di persone rientranti, appunto, fra coloro ai quali i diritti umani non spetterebbero. Dagli appartenenti alle minoranze etniche (i Rohingya del Myanmar, vittime dell’ultimo genocidio), agli omosessuali (ancora puniti dal diritto penale di oltre settanta paesi), alle donne di tanti paesi – dall’India alla Polonia, dal Sudafrica all’Arabia Saudita – che rivendicano i propri diritti negati, ai rifugiati in Italia. A questi ultimi, in particolare, una strategia fatta di collaborazione con la Libia, porti chiusi e attacchi infamanti nei confronti delle Ong ha negato «il diritto di cercare e godere asilo dalle persecuzioni», di cui all’art.14 della Dichiarazione. Ottenendo, nella prospettiva del governo, successi lusinghieri: dal 2017 un crollo nel numero degli sbarchi. Ma anche – sono i costi umani altissimi, il rovescio della medaglia che la propaganda non fa vedere – un aumento spaventoso del tasso di mortalità in mare di coloro che sono partiti e una crescita enorme di coloro che sono trattenuti nei centri di detenzione libici, a tempo indeterminato, senza controllo giurisdizionale, in condizioni agghiaccianti, esposti sistematicamente a torture e a stupri. Di queste violazioni della Dichiarazione universale, nella ricorrenza del settantesimo anniversario, l’Italia è complice.

*presidente Amnesty International Italia

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