Una corte d’appello composta da tre giudici, di cui due eletti da Trump, ribaltando la decisione di un giudice federale, ha deciso all’unanimità di concedere al Dipartimento di Giustizia di esaminare gli oltre 100 documenti riservati sequestrati dall’Fbi a Mar-a-Lago: è «una questione di sicurezza nazionale».

All’inizio del mese un giudice federale aveva temporaneamente sospeso alcune parti dell’indagine del Dipartimento di Giustizia, concedendo a Trump un revisore, il giudice Raymond Dearie, affiancato da un altro giudice incaricato di smistare i documenti. Questa settimana, però, Dearie ha respinto il rifiuto degli avvocati di Trump di mostrare le prove che l’ex presidente, mentre era ancora in carica, aveva declassificato i documenti in questione.

NELLE 29 PAGINE di deliberazione i giudici Robin Rosenbaum, Britt Grant e Andrew Brasher hanno affermato di non capire perché Trump volesse quei documenti: «Da parte nostra, non possiamo discernere il motivo per cui avrebbe un interesse individuale, o la necessità di uno qualsiasi dei 100 documenti classificati».

L’ex presidente, hanno proseguito i giudici, «non ha nemmeno tentato di dimostrare di aver bisogno di conoscere le informazioni contenute nei documenti riservati». Hanno proseguito affermando che il verbale non contiene prove che i circa 100 documenti siano stati declassificati.

Su quest’ultimo punto, però, la linea di difesa di Trump resta invariata e l’ha nuovamente espressa in una nuova intervista con Fox News. Il tycoon ha sempre sostenuto di aver declassificato tutti i documenti riservati che l’Fbi ha recuperato nella sua tenuta di Palm Beach, affermazione così dubbia che i suoi avvocati si sono rifiutati di presentarsi in tribunale per sostenerla.

Secondo The Donald, però, non è necessario che ci sia prova fisica della declassificazione dei documenti, in quanto il presidente Usa ha il potere di farlo «anche solo col pensiero». «Se sei il presidente degli Stati uniti – ha detto Trump davanti alle telecamere – puoi declassificare un documento semplicemente dicendo che è declassificato, anche solo pensandoci. Ecco perché non c’è bisogno di un processo».

L’AFFERMAZIONE viene reiterata da Trump così frequentemente da essere al centro del dibattito. «Domande ipotetiche del tipo: “E se un presidente pensa fra sé e sé che un documento è declassificato? Questo cambia il suo status?” sono così speculative che il loro significato pratico è trascurabile – ha detto di recente al New York Times Steven Aftergood, specialista delle disposizioni di segretezza alla Federation of American Scientists – È un pasticcio logico. Il sistema non è pensato per essere implementato in modo così arbitrario».

È improbabile che il sistema legale segua la pretesa telepatica di Trump. Il giudice Dearie ha già detto al team legale di The Donald che, a meno che non fornisca prove concrete che Trump abbia declassificato i documenti chiaramente etichettati come classificati, li tratterà come se fossero, effettivamente, classificati.

L’affermazione di Trump di poter declassificare i documenti solo con il pensiero non è stata nemmeno la cosa più ridicola che ha detto a Fox News sull’indagine di Mar-a-Lago. Nella stessa intervista, ha affermato che ci sono molte «speculazioni» sul fatto che l’Fbi a Mar-a-Lago stesse in realtà cercando le e-mail di Hillary Clinton o informazioni relative all’ossessione dei liberal per la «Russia, Russia, Russia». Questi sono gli unici due veri problemi che giustificherebbero la «gravità del raid», ha affermato Trump