Marta Lovato, candidata per “Unione Popolare” nel collegio plurinominale di Ferrara-Ravenna-Forlì/Cesena-Rimini, promuove la sua candidatura con gli aggettivi «femminista-ambientalista-anticapitalista». Perché «anticapitalista»? “Come essere anticapitalisti nel XXI secolo” (edizioni Punto Rosso) è il titolo del libro che Erik Olin Wright, sociologo marxista americano deceduto nel 2019, ha dedicato al problema. Secondo Olin Wright, per rispondere correttamente, occorre prendere atto che l’anticapitalismo ha diverse forme: distruggere il capitalismo, smantellare il capitalismo, domare il capitalismo, resistere al capitalismo e sfuggire al capitalismo. La strategia rivoluzionaria (distruggere) consegna nelle mani di una élite le chiavi dell’ingegneria sociale, accoppiando principi di critica radicale con soluzioni ad ampio raggio.

È possibile, dopo l’esito dei regimi del socialismo reale e delle soluzioni rivoluzionarie ad ampio raggio, criticare il capitalismo? L’operazione non solo è possibile, ma è in buona misura necessaria. Perché se il socialismo reale è fallito, non da meno lo è il liberismo reale. Secondo Olin Wright, le strategie di anticapitalismo riformista basate sul compromesso capitale-lavoro («smantellare e domare») sono entrate in crisi per cause sia endogene che esogene. Quello che appariva come uno stato stazionario del capitalismo ha dimostrato di essere, in realtà, una fragile contingenza dovuta a rapporti di forza difficilmente ripetibili. Per di più, l’esperienza dei “30 gloriosi (1945-1975)” si è limitata a pochi paesi e, anzi, è stata resa possibile dall’esclusione di altre zone del mondo all’interno di rapporti di scambio ineguale e dipendenza (il sud globale). Le ultime due strategie («resistere e fuggire») sono tipiche delle risposte «dal basso» e, in forma collettiva e/o individuale, e si nutrono di correnti ideologiche definite da un mix di comunitarismo, localismo, solidarismo ed ecologismo.

Una sesta forma è l’erosione del capitalismo. Questa consiste nell’introduzione di «specie aliene» nell’ecosistema del capitalismo che sostituiscono gradualmente la «specie autoctona», per diventare così quella dominante. Il cambiamento di prospettiva cruciale rispetto alle forme tipiche del comunismo rivoluzionario, quindi, riguarda la teoria del mutamento di regime implicita nella critica anticapitalista. Nel modello dell’erosione, il cambiamento è sempre un rimescolamento selettivo degli elementi del passato e non, come nella rivoluzione, un «passaggio di stato» dal sistema capitalista a quello non-capitalista.

L’erosione, poi, non è messianica o teleologica: non aspetta la rivoluzione e non crede in una direzione del divenire storico, ma crea qui e ora l’utopia concreta. Nel modello dell’erosione, quindi, l’anticapitalismo convive già con il capitalismo: un po’ come nel film “L’invasione degli ultracorpi” l’anticapitalismo è già tra noi. Esso si trova in quelle esperienze che fanno della pratica dell’alternativa al capitalismo la loro cifra economica, culturale e organizzativa. Esperienze che, pur critiche del capitalismo, devono avere un rapporto di qualche tipo con le sue istituzioni: l’impresa, il mercato, la sostenibilità economica, la moneta. Possiamo definirle come «modelli anfibi»: il pesce, grazie a loro, può uscire dall’acqua e respirare.

Per questo, le alternative al capitalismo non si pongono come una «transizione tra fasi» in attesa del futuro, ma come un «processo immanente» il cui esito ha un orizzonte temporale imprecisato il cui farsi storico è definito dalla capacità di generare più solidarietà e non meno, più democrazia e non meno, più uguaglianze e non meno, più sostenibilità ambientale e non meno. Il tempo è, certamente, uno degli aspetti cruciali dell’erosione anticapitalista. Mentre il concetto di «transizione rivoluzionaria» tende a dare l’idea che l’uscita dal capitalismo possa avvenire in un lasso di tempo breve, il processo di erosione è, come in geologia, uno sgretolamento lento che si distende lungo tempi lunghi. Del resto, il processo può anche realizzarsi nella forma dell’erosione accelerata, da intendersi come il dilavamento che si verifica su suoli poco permeabili a opera di piogge a carattere torrenziale, con effetti che in condizioni normali impiegano moltissimi anni a formarsi.

Fuor di metafora, i periodi storici caratterizzati da quella che Egdar Morin ha chiamato «policrisi», cioè il combinarsi di tensioni a diversi livelli e lungo diverse dimensioni, costituiscono il contesto adatto per l’erosione accelerata. Oggi, le interdipendenze sistemiche tra crisi ecologica, rivoluzione tecnologica, crisi di legittimazione dei sistemi liberal-democratici, economia di guerra e diseguaglianze sembrano aprire una finestra di opportunità per esperienze di erosione accelerata del capitalismo, che hanno bisogno di candidate anticapitaliste per realizzarsi.

Twitter: @FilBarbera