Una bibliotuktuk nella Terra dei bambini
Gaza Una biblioteca mobile, una falegnameria per produrre giocattoli e un laboratorio tessile nel progetto della Ong Vento di Terra e del centro Zeina per dare lavoro e indipendenza alle donne beduine e restituire l'infanzia ai bambini di Gaza sotto assedio
Gaza Una biblioteca mobile, una falegnameria per produrre giocattoli e un laboratorio tessile nel progetto della Ong Vento di Terra e del centro Zeina per dare lavoro e indipendenza alle donne beduine e restituire l'infanzia ai bambini di Gaza sotto assedio
«Così la mucca saltò in groppa a un topo, sì, un topo piccolo ma tanto forte, che a nuoto la portò sull’altra riva, sana e salva». I bambini della comunità beduina di Um al Nasser ascoltano a bocca aperta il racconto fantastico di Munther l’animatore, in costume tradizionale e con un fez rosso bordeaux. Oggi alla scuola ”Terra dei bambini” è arrivata la Bibliotuktuk, la biblioteca itinerante montata su di un veicolo a tre ruote, che gira per la Striscia di Gaza mettendo libri per l’infanzia a disposizione di bambini e ragazzi di famiglie prive di risorse per l’istruzione e l’intrattenimento dei figli. E comunque l’arrivo della bibliotuktuk è sempre l’occasione per fare festa, per cantare e giocare. I ragazzi di Gaza ne hanno certamente bisogno. Um al Nasser è vicina al valico di Erez con Israele, una delle aree di maggior tensione. I bombardamenti da queste parti non sono infrequenti. Israele li giustifica con la necessità di impedire le operazioni armate di Hamas. E quando mancano quelli arrivano i disastri naturali. Qui qualche anno fa un allagamento improvviso, frutto di errori umani e della disastrosa situazione delle infrastrutture civili di Gaza da oltre dieci anni sotto embargo israeliano, fece morti e feriti. «Ora tocca a te, sì dico a te, avvicinati, raccontaci una bella storia», dice l’animatore rivolgendosi a una bambina che, vinta l’iniziale timidezza, si avvicina al tuk tuk, si impossessa del fez e comincia il suo racconto.
Quattro anni fa la scuola la “Terra dei bambini” era completamente diversa. Era un’edificio in gran parte in legno costruito dalla ong milanese Vento di Terra, con criteri innovativi. A visitarla furono in tanti, anche l’ex presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini. Tanta attenzione non bastò a salvarla nel 2014, quando i bulldozer militari israeliani, durante l’offensiva “Margine protettivo”, per presunte “ragioni di sicurezza” la trasformarono in un cumulo di detriti e legni spezzati. Superato lo sdegno l’ong italiana e i suoi partner si rimboccarono le maniche e ricostruirono la “Terra dei bambini” che ha riaperto circa due anni fa. I bambini di Um al Nasser, l’unico comune beduino di Gaza, sono tornati in aula e partecipano a molteplici attività educative. «Quella di Um al Nasser è una realtà molto difficile sotto tanti punti di vista, a cominciare da quello economico» ci dice Barbara Archetti, presidente di Vento di terra, «lavoriamo a stretto contatto con la popolazione da tanti anni in ambito educativo e psicosociale ma anche per uno sviluppo più composito del territorio». La bibliotuktuk è una iniziativa sostenuta da più di 200 classi di scuole italiane, aggiunge Archetti. «La biblioteca mobile – spiega – è un contributo alla rottura delle barriere e dell’assedio anche culturale che si vuole imporre a questa terra, a questi bambini».
Dei ragazzi palestinesi di Gaza si parla poco. Fanno notizia, e solo per qualche ora, quando vengono uccisi dai bombardamenti o, in questi mesi, dai colpi sparati dai soldati israeliani lungo le linee di demarcazione durante le manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno. Dei loro traumi, del loro far parte dei più colpiti dalle conseguenze del blocco israeliano si dice poco o nulla. Gli allarmi lanciati in questi anni dal “Centro di salute mentale” di Gaza cadono nel vuoto. La loro condizione lascia indifferenti gli “assedianti” israeliani che attuano il blocco e di rado trova spazio nei discorsi dei leader politici palestinesi. Il leader di Hamas, che controlla la Striscia, Ismail Haniyeh, qualche giorno fa, in occasione della festa islamica dell’Eid al Adha, ha proclamato che Gaza «è sulla strada di veder finire il blocco» e che questo «è il risultato della fermezza e della lotta». Si è riferito ai negoziati indiretti con Israele che dovrebbero portare ad un cessate il fuoco di un anno tra Hamas e lo Stato ebraico. Haniyeh ha detto solo una frazione della verità. Non ci sarà la fine dell’embargo israeliano di Gaza, aggravato anche da alcune misure punitive adottate dal presidente dell’Anp Abu Mazen. Al massimo la popolazione vedrà un lieve allentamento della chiusura. Il blocco navale resterà in vigore anche se, scrive qualche giornale, a Gaza dovrebbero poter arrivare mercantili ispezionati in precedenza da Israele in un porto cipriota e seguiti fino alla costa palestinese.
Per i civili palestinesi resterà un sogno la libertà piena, a partire dalla possibilità di uscire da Gaza. E non è detto che i bambini gravemente ammalati riceveranno, assieme ai genitori, in tempi più rapidi i permessi per raggiungere gli ospedali della Cisgiordania e quelli israeliani meglio attrezzati per curarli. Hannan al Khoudari con un figlio piccolo malato di cancro, riferiva qualche giorno fa il giornale Haaretz, per sette mesi non ha ottenuto l’autorizzazione ad assistere il bambino, poiché è una cugina di primo grado di un leader del movimento islamico. Alla fine è stata costretta a chiedere l’aiuto ad altre donne in possesso del permesso israeliano per consentire al suo bambino di curarsi fuori Gaza. Per gli altri bambini ammalati di Gaza ci sono solo gli ospedali della Striscia che vivono il loro momento più difficile da molti anni a questa parte, tra carenze strutturali e scarsità di farmaci salvavita. Il sottosegretario generale dell’Onu per gli affari politici, Rosemary Di Carlo, a inizio settimana ha esortato Israele a permettere agli ospedali palestinesi di rifornirsi di carburante per i funzionamento dei generatori autonomi di elettricità poiché le scorte si stanno esaurendo. Ha poi fatto appello per 4,5 milioni di dollari necessari per garantire il funzionamento dei generatori di tutti i centri sanitari di Gaza fino alla fine del 2018.
Restituire l’infanzia ai bambini di Um al Nasser e di tutta Gaza e, allo stesso tempo, dare lavoro alle donne beduine è l’obiettivo del centro “Zeina”, un altro capitolo del progetto la “Terra dei bambini”. Nel suo laboratorio di falegnameria otto donne ogni giorno indossano i guanti da lavoro e le protezioni per gli occhi, azionano i macchinari e intagliano il legno per produrre i pezzi di giocattoli padagogici per gli asili. Trenini, attrezzi da lavoro, alberi, automobiline, pupazzi in legno e altri materiali ecologici. Il centro “Zeina” li vende e distribuisce a Gaza. E, quando si allentano le restrizioni di Israele, le operaie provano ad esportarli verso l’Europa. Altre 13 donne lavorano nel laboratorio tessile per la produzione di stoffe e abiti e altre ancora si preoccupano di portare avanti i progetti del centro. «La comunità beduina di Um al Nasser garantisce continuità al progetto della ’Terra dei bambini’» spiega con orgoglio Hanin Al Sammak, direttrice del centro. «Il lavoro – aggiunge – sta offrendo un’importante opportunità di crescita a tutti i livelli alle nostre donne che prima era soltanto delle casalinghe, moglie e madri». Tuttavia l’obiettivo prioritario del centro e di Vento di terra, conclude Al Sammak, «resta quello di provare a dare un’infanzia più serena e una istruzione migliore, con metodologie più moderne, ai bambini di Um al Nasser, nonostante il blocco (israeliano) e le guerre che devastano Gaza».
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