Un monopolio non si regola con il mercato
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Un monopolio non si regola con il mercato

Energia Se siamo all’interno di un monopolio naturale, allora è corretto che la gestione del servizio sia riservata ad attori pubblici e che questi lo garantiscano a prezzo politico, in regime di no profit
Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 24 agosto 2022

Le imprese lamentano l’insostenibile aumento del prezzo dell’energia, che può comprometterne la redditività e persino la capacità di stare sul mercato. Credo abbiano ragione.

Se la loro prima reazione è stata scaricare i costi sull’anello successivo della catena, e quindi in ultima istanza sui consumatori, anche questa opzione diventa rapidamente inapplicabile, davanti a costi che continuano a crescere.

I redditi delle famiglie italiane non sono infatti sufficienti a reggere un aumento prolungato e sempre più sostenuto dei beni e servizi di prima necessità, e ci si troverà quindi presto davanti alla necessità di restringere significativamente il proprio carrello della spesa.
Né può valere a lungo la valvola di sfogo dell’export, se è vero come è vero che il nostro primo partner commerciale, la Germania, sta affrontando una congiuntura assai simile alla nostra.

Se dunque il sistema imprenditoriale lancia un allarme giustificato, che la gran parte della politica non sembra volere cogliere a fondo, resta da chiedersi d’altra parte se sia pronto a rimettere in discussione il dogma fondamentale che ha segnato l’economia nell’ultimo trentennio, ovvero la supremazia assoluta del mercato, con i corollari della centralità della concorrenza e del capitale privato.
Questo pilastro del pensiero unico alla prova dei fatti non funziona.

Lo dimostra il fatto che Eni realizza 7 miliardi di utile nel primo semestre, quando nello stesso periodo del 2021 si era fermata a 1.
Né le cose sono molto diverse per Enel e per le grandi multiutility che hanno sostituito le vecchie municipalizzate.
Questi grandi player dell’energia agiscono in mercati oligopolistici, molto prossimi al monopolio naturale, realizzando di conseguenza profitti giganteschi anche in una congiuntura negativa.

Si può anzi affermare che contribuiscano direttamente a peggiorare l’ambiente economico complessivo, contribuendo ad alimentare direttamente l’impennata dell’inflazione, traendone un vantaggio.
Tutto questo appare opposto rispetto alle considerazioni che portarono Mattei a fondare Eni e le amministrazioni locali più lungimiranti a dare vita alle aziende locali di servizi.

Allora si comprese infatti la natura intrinsecamente truccata del mercato energetico e la necessità di un intervento diretto dello Stato finalizzato a garantire approvvigionamenti sufficienti e a prezzo adeguato alle necessità del sistema produttivo.
Oggi è necessario assumere nuovamente lo stesso punto di vista.
Se siamo all’interno di un monopolio naturale, allora è corretto che la gestione del servizio sia riservata ad attori pubblici e che questi lo garantiscano a prezzo politico, in regime di no profit.

Altrettanto corretto è che questi attori siano gestiti da amministratori che rappresentino gli interessi di tutti gli attori sociali – lavoratori, consumatori e imprese – in modo tale da garantire un equilibrio fra i diversi interessi in gioco.

L’illusione ben alimentata che le privatizzazioni unite ad un sistema di Autority avrebbero garantito prezzi più bassi e servizi migliori, si è rilevata utile soltanto a produrre dividendi straordinari per gli azionisti.
La durezza del tempo presente richiede il coraggio di risposte diverse.

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