Un racconto corale che restituisce potenza ad ogni singola voce, scandito in tono meridiano. A 20 anni da quel ciclo di lotte, Da Seattle a Genova, la cronistoria della Rete No Global, edito da DeriveApprodi, a cura di Daniele Maffione, è un libro preziosissimo, lucido, ipertestuale, corredato dalle foto eloquenti di Luciano Ferrara. Il volume restituisce corpo alle parole, rimettendo al centro le storie singolari di chi costruì e visse la mobilitazione. Soprattutto, ripristina gli etimi corretti, a cominciare dall’etichetta No global.

«Col presente lavoro s’intende contribuire a colmare un vuoto di conoscenza su quella stagione di lotta, che è stata raccontata in modo distorto dalla parte dei cosiddetti vincitori», spiega il curatore. Mantenendosi distante da lamentazioni e fughe narcisistiche che pure si aggirano in tempo di commemorazioni, l’attivista no global e studioso Maffione lascia che sia un turbinio di intelligenze a sviscerare temi, analizzare eventi, tratteggiare antefatto ed epilogo di un cammino condiviso da milioni di persone. E come in effetti avvenne, inquadra nei giorni dal 15 al 17 marzo del 2001, quando a Napoli si svolsero le contestazioni al Global Forum promosso dall’Ocse su digital divide e utilizzo delle nuove tecnologie, la genesi delle tre giornate di contestazione al G8 di Genova del luglio successivo. Così, raccontando i «no» ma pure i tanti «sì» di quei movimenti variegati e conflittuali, prendono vita fotogrammi che in assenza di questo delicato lavoro di ricucitura, apparirebbero statici ed indecifrabili.

Efficace la scelta, peraltro già operata innumerevoli volte con successo da DeriveApprodi nella pubblicazione di altri capitoli della storia dei movimenti sociali e politici, di lasciare che a parlare in presa diretta siano i documenti, le protagoniste e i protagonisti, in uno scavo plurale negli archivi cartacei e digitali. Se è vero che il movimento No global ebbe l’attitudine ad abbattere le barriere interne tra gruppi e fazioni, tipiche delle forme classiche della militanza nel ‘900, è altrettanto evidente che questo libro ricalca tale indole, miscelando generi e prospettive d’analisi.

Ritroviamo le voci del magistrato no global Nicola Quatrano e del prete attivista don Vitaliano Della Sala. Circostanziata è la ricostruzione di Roberta Moscarelli di una delle più significative operazioni inquisitorie che in quegli anni portarono agli arresti di militanti del sud ribelle.

Da diverse interviste emerge quanto sottile possa risultare la grammatica nell’analisi delle condotte repressive. Nel 2001, come prima e dopo, l’attacco violento degli apparati statali ai movimenti non rappresentò un’eccezione. Caso mai, con Agamben, fu conferma de «Lo stato di eccezione». La sospensione permanente del diritto, cui ormai ci sentiamo assuefatti in tempo di pandemia, emerse cruenta a Napoli, a Genova, in quei mesi del 2001. I fatti della caserma Raniero, dove decine di manifestanti furono brutalizzati, anticiparono la mattanza di Bolzaneto nel G8 di Genova.
La carrellata poliedrica dei testi è introdotta dal gustoso racconto di Francesco Festa. Il suo montaggio parallelo delle vicende avvenute nel marzo 2001 a Napoli è già sceneggiatura di un potenziale film su quella stagione. Creatività, gioiosa agitazione e comunicazione costituirono le fondamenta della «Rete Noglobal – Network campano per i diritti globali», animata anche da «smanettoni dei computer (…) e pirati del web» che «provenivano – scrive Festa – dal sottobosco delle comunicazioni interattive (reti Bbs, hacker, cyberpunk, piattaforma Ecn – isole nella rete) cioè da una sorta di internet ante litteram, sperimentata nei centri sociali)».

Nella prefazione, Marco Bersani spiega che «l’abbandono della competizione interna» non comportò la «reductio ad unum, ovvero quel processo di intreccio delle esperienze finalizzato alla costruzione di un soggetto unitario con un pensiero omogeneo».

La narrazione del contesto in cui presero forma le mobilitazioni individua le infiorescenze di una ribellione che negli ultimi decenni e in contesti diversi s’è riproposta. E magari, sotto forme inedite, i «semi» di quella rivolta potrebbero tornare a germogliare.