Deviare un asteroide colpendolo con un oggetto contundente o esplosivo è uno dei più classici plot della fantascienza. Da Deep Impact a Don’t look up, passando per Armageddon, negli ultimi decenni Hollywood ha spesso messo in scena il tentativo di evitare un impatto devastante tra la Terra e un asteroide. Il prossimo film di questo filone verrà girato nella notte tra lunedì e martedì e la cinepresa sarà italiana. Stavolta però non si parla di fantascienza.

Se tutto procederà secondo i piani, all’1:14 nella notte tra lunedì e martedì notte un veicolo spaziale colpirà l’asteroide Dimorphos per provare a deviarne la traiettoria. Niente paura: si tratta solo di un esperimento. Dimorphos, 160 metri di diametro per una massa di cinque milioni di tonnellate, non è un asteroide a rischio di impatto terrestre. La sua orbita è ben conosciuta e lo porta, nel punto più vicino a noi, ad almeno dieci milioni di chilometri di distanza.

Colpirlo con una navicella spaziale non è una questione di vita o di morte, come nei film: servirà a osservare le conseguenze dell’impatto e a capire la fattibilità dell’operazione per eventuali rischi futuri.

LA MISSIONE SPAZIALE è stata messa a punto dall’agenzia spaziale statunitense Nasa, che nel 2016 ha istituito un «Ufficio di coordinamento della difesa planetaria». Qui vengono tracciati gli asteroidi a rischio di impatto, con un diametro di 30-50 metri e una traiettoria che passa a meno di otto milioni di chilometri da noi. E in questo ufficio è nata la missione «Dart».

La sigla sta per «Double asteroid redirect test» (Deviazione sperimentale di un asteroide doppio), in quanto Dimorphos è il satellite di un asteroide più grande, Dydimos. «Dart» è anche il nome delle freccette che si tirano contro il bersaglio nelle serate al pub.

L’obiettivo della missione è scagliare contro l’asteroide un veicolo spaziale grande come un frigorifero da cucina e pesante sei quintali a una velocità di 24 mila chilometri all’ora e osservare le conseguenze dell’impatto sul corpo celeste e sulla sua traiettoria. Il lancio è avvenuto alla fine di novembre del 2021 e il viaggio è prossimo alla conclusione.

L’evento sarà documentato da un microsatellite denominato LICIACube, una sorta di fotocamera spaziale che si è staccata dalla navetta principale il 12 settembre e riprenderà l’impatto da una distanza di almeno cinquanta chilometri.

LICIACube è un prodotto interamente italiano – lo ha realizzato la ArgoTec di Torino – e monta due fotocamere denominate «Luke» (LICIACube Unit Key Explorer) e «Leia» (LICIACube Explorer Imaging for Asteroid) in omaggio ai protagonisti di Guerre Stellari. Il microsatellite dovrà fotografare il cratere e la nube di detriti spaziali provocati dall’impatto, fornendo informazioni anche sulla composizione chimica dell’asteroide.

LICIACUBE è anche ciò che resta di un progetto molto più ambizioso ma in gran parte fallito: secondo il progetto originale, un anno prima dell’impatto l’Agenzia spaziale europea (Esa) avrebbe dovuto far posare su Dimorphos una sonda per esaminare l’asteroide da vicino. La missione iniziale denominata «Asteroid Impact Mission» – Aim, che significa anche «scopo» – è stata però annullata nel 2016 quando il governo tedesco ha ritirato la sua quota del sostegno finanziario promessa inizialmente. Nel nuovo piano, l’Esa si limiterà a inviare verso Dydimos e Dimorphos una nuova sonda solo nel 2026 per studiare le conseguenze dell’impatto a quattro anni di distanza.

ANCHE CHI RIMANE a Terra potrà osservare l’impatto di Dart. Verso Dimorphos sarà puntato l’obiettivo del Virtual Telescope, una sorta di osservatorio popolare creato a Ceccano (Frosinone) dall’astrofisico e divulgatore Gianluca Masi che, attraverso internet, offre a tutti la possibilità di effettuare osservazioni celesti ad alta risoluzione. Il telescopio stavolta condividerà le immagini provenienti da altri due telescopi posti in Sudafrica, perché dall’emisfero nord la collisione non sarà visibile. Il successo della missione sarà segnalato da un aumento della luminosità in corrispondenza dell’asteroide visibile solo con strumenti abbastanza potenti.

IL DESTINO del piccolo oggetto celeste che abbiamo preso a bersaglio non è facilmente prevedibile. Sulla struttura di molti asteroidi ne sappiamo ancora poco: alcuni potrebbero avere la consistenza di una roccia compatta; altri sono semplici aggregati di polveri stellari tenuti insieme da forze gravitazionali non troppo intense. La missione giapponese Hayabusa che nel 2020 ha riportato sulla terra frammenti dell’asteroide Ryugu ha svelato che il materiale che compone un asteroide può essere così morbido da «tagliarsi con un coltello», come hanno raccontato i ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica che hanno collaborato alle analisi.

IN QUESTO CASO, la missione Dart potrebbe creare molto più che un cratere: Dimorphos potrebbe uscire dallo scontro completamente deformato.
Il successo della missione permetterà di immaginare un piano di emergenza nel caso in cui un asteroide dovesse malauguratamente prenderci di mira per farci fare la fine dei dinosauri. L’eventualità è attentamente monitorata e, al momento, non dovremmo correre particolari rischi. Il catalogo «Sentry» (sentinella) redatto dai difensori planetari della Nasa non prevede incroci pericolosi nei prossimi cento anni. L’asteroide più chiacchierato si chiama Bennu, è largo mezzo chilometro (tanto) e attualmente si stima che la probabilità che colpisca la terra è circa una su duemila.

UN EVENTUALE impatto, però, avverrebbe tra il 2178 e il 2290. Bennu lo conosciamo talmente bene che nel 2020 una sonda Nasa ha raccolto un frammento della sua superficie per portarlo a Terra nel 2023 e analizzarlo.
Altri asterodi hanno maggiori probabilità di impatto – anche dell’ordine dell’1% – ma sono troppo piccoli per rivelarsi pericolosi per il pianeta. In ogni caso, le collisioni più probabili sono previste per gli ultimi decenni di questo secolo. Se non affronteremo sul serio la crisi climatica, a quel punto ci saremo già fatti male da soli.