«Se moriremo, dite al mondo quanto ci piaceva vivere», scrive un artista palestinese ai propri amici europei.
Prima degli angustiosi eventi degli ultimi mesi, questo amore per la vita pervadeva ogni opera, ogni nuovo progetto, ogni vernissage degli artisti di Gaza. Con entusiasmo accoglievano i visitatori nei propri atelier, offrendo loro una tazza di caffè e dell’ottima conversazione. Si rammaricavano di ricevere pochi visitatori internazionali, conseguenza dalle estreme difficoltà per poter entrare nella Striscia, mentre avrebbero desiderato confrontarsi con un pubblico più vasto e diversificato.

LE LORO OPERE celebravano i colori, la musica, la natura, i sogni, il piacere di stare con gli altri. Tuttavia, pur trasmettendo vivacità ed esuberanza, esse infondevano anche un’intensa agonia esistenziale, spesso espressa attraverso ironia e sarcasmo. L’osservatore coglieva questi tormenti solamente dopo aver superato la più superficiale lettura delle opere, che sembravano inneggiare alla festa e al gioco.

Per esempio, i colorati e all’apparenza spiritosi coni gelato antropomorfi di Qishta Duaa producevano malessere e nausea, non appena se ne coglieva l’ispirazione. Essi erano infatti stati concepiti dalla giovane artista per commemorare un episodio risalente a qualche tempo prima, quando le cronache avevano riportato l’utilizzazione emergenziale dei carretti gelato come casse per custodire cadaveri, poiché gli obitori non erano più in grado di far fronte alle necessità. Attraverso la raffigurazione accattivante dei coni gelato, l’artista conquistava lo sguardo curioso e divertito dell’osservatore, per poi assalirlo con i fantasmi delle persone scolpite nei gelati e costringerlo a percepirle in tre dimensioni, come esseri umani che avevano affetti e progetti di futuro.

AMAREZZA E GIOIA, tensione fra la memoria di un doloroso passato e il desiderio di un futuro diverso, insieme a un peculiare senso dell’umorismo, erano temi ricorrenti anche per gli artisti del collettivo Eltiqa.

L’opera-performance di uno dei suoi fondatori, Mohamed Abusal, appare particolarmente desolante e triste in questi giorni in cui l’utilizzo dei sotterranei di Gaza è oggetto di attenzione globale. Sognando un sofisticato sistema di trasporto urbano, Mohamed affisse in vari punti della Striscia, sotto gli sguardi stupiti dei passanti, dei segnali di fermate immaginarie di un altrettanto immaginario metrò. Abusal progettò anche una mappa con gli itinerari delle diverse linee, fra cui una per connettere la Striscia di Gaza alla Cisgiordania. L’artista auspicava che un giorno, come le grandi città europee, anche Gaza avrebbe potuto essere prospera e dinamica, e i palestinesi avrebbero potuto spostarsi rapidamente senza barriere.

In ogni società, l’artista è portatore delle speranze collettive: il suo spirito è alla ricerca di un costante rinnovamento e la sua voglia di esprimersi è inesauribile. Questo sosteneva Raed Issa, un altro esponente del collettivo, convinto che l’arte e la bellezza avrebbero trionfato sulla distruzione e la miseria.

NELLA SERIE “CORPI” l’artista rappresentava uomini, donne, bambini e anziani, dallo sguardo cupo, disorientato, ma non rassegnato. I loro volti assumevano un’aria trasognata, speranzosa e indagatrice, in un dialogo silenzioso con l’osservatore, quasi chiedendogli aiuto per trovare una via d’uscita. I loro corpi abbracciavano oggetti dal valore identitario: l’oud, il liuto della tradizione musicale araba, o una valigia, simbolo dell’instabilità di queste esistenze.

ANCHE SE PORTATRICI di sofferenza e disperazione, le opere di questi artisti non presentavano alcuna sfumatura di odio, rabbia o cinismo. Erano perfetta rappresentazione del mito dell’arte come fonte di resilienza, che vorrebbe la creatività superiore a qualsiasi sciagura. Alcune opere riuscirono persino a viaggiare attraverso quei confini che gli autori stessi avevano difficoltà ad attraversare e vennero esposte lo scorso anno a Documenta15.

Eppure, oggi anche la resilienza è agonizzante, come scrive su Facebook un artista dalla Striscia: «Nel buio di queste notti illuminate solo dalla luna, non c’è più spazio per l’arte e la cultura, non c’è più tempo per i sogni e la speranza».