Ivan Rusev è un ecologo, direttore scientifico del Parco Naturale Nazionale degli estuari di Tuzly, in Crimea: 280 kmq di area protetta a metà fra terra e acqua, dove il Danubio e il Dnipro terminano la loro corsa gettando i loro estuari nel Mar Nero. Da quando è iniziata la guerra, il suo lavoro consiste nel percorrere ogni mattina all’alba il tratto di costa a cui ha ancora accesso. Da un anno a questa parte, ogni giorno, pubblica su Facebook una riflessione accompagnata da foto del parco. Il giorno dell’anniversario ha riproposto alcune delle foto più terribili scattate in un anno di guerra: fra di esse quella di delfini morti distesi sulla sabbia.

GIA’ A POCHI MESI dall’inizio del conflitto, il ricercatore denunciava un numero di ritrovamenti di quel tipo superiore alla media: nel 2021 lungo tutti i 44 km di costa del parco erano stati trovati tre delfini spiaggiati, a maggio 2022 in 5 km, i soli accessibili, ne sono stati trovati 35. Anche team di ricerca e Ong di altri paesi affacciati sul Mar Nero hanno notato un aumento. La Fondazione Turca per la Ricerca Marina già in marzo aveva segnalato un inusualmente alto numero di delfini spiaggiati sulle coste del Mar Nero. Mare Nostrum, un’associazione rumena di esperti ambientali, afferma di aver registrato il maggior numero di cetacei spiaggiati almeno dal 2010. L’insieme di tutte le segnalazioni che è stato possibile raccogliere hanno portato a un totale di 2500 delfini trovati morti sulle spiagge.

LA POPOLAZIONE DI DELFINI, e di altri cetacei come la focena e il tursiope, era stimata per il Mar Nero fra i 1,5 e i 2 milioni di esemplari all’inizio del secolo scorso; in seguito, inquinamento e pesca li hanno drasticamente ridotti a 100 mila negli anni quaranta; la messa al bando della caccia ha dato inizio dagli anni 60 in poi a un lento ripopolamento, ma con i loro 250 mila esemplari attuali , rimangono nella lista rossa delle specie minacciate.

IVAN RUSEV RIPORTA UN DATO senza precedenti nei ritrovamenti attuali: se prima i delfini spiaggiati riportavano segni di reti da pesca o ferite, adesso non ve ne è traccia. Il ricercatore non ha dubbi: la causa della morte dei delfini sono i potenti sonar utilizzati dalle navi russe, che interferiscono con il sistema uditivo e di riferimento dei cetacei; spaventati e disorientati, non cacciano, deperiscono, si ammalano e muoiono. Dopo un anno di guerra, in base al numero di delfini ritrovati, le sue stime arrivano a 50 mila esemplari, un terzo del totale: se fosse così si tratterebbe di un ecocidio.

E’ MOLTO DIFFICILE STABILIRE il rapporto causa effetto, anche a causa del segreto militare che rende meno accessibile una serie di dati necessari per la ricerca e i biologi stessi in generale sono cauti, ma per alcuni di essi, come Pavel Goldin, del Schmalhausen Institute di Zoologia di Kyiv, la coincidenza fra queste morie di massa e l’inizio della guerra non può essere ignorato. Quando a febbraio è scoppiato un conflittto su vasta scala, il Mar Nero è stato uno dei punti focali. Il primo giorno la marina russa si è mossa immediatamente per impadronirsi di Snake Island, 50 km al largo del Parco di Tuzly. I sottomarini hanno sparato contro l’Ucraina, un’ulteriore fonte di disturbo acustico, insieme a motori di elicotteri, esplosioni sottomarine e mine.

LA RUSSIA HA LANCIATO CENTINAIA di missili dal Mar Nero e quelli caduti in mare possono aver causato lo sfollamento dei cetacei. L’impatto sulle popolazioni di specie rare e protette è solo una delle gravi conseguenze che la guerra in Ucraina sta avendo sui suoi preziosi sistemi naturali. Le emissioni dovute alle numerose esplosioni e incendi in siti di infrastrutture civili e industriali si diffondono a lungo raggio. Le acque sotterranee e superficiali sono inquinate a seguito di danni agli impianti di depurazione, sversamenti di carburanti e lubrificanti, affondamento di apparecchiature nei corpi idrici, esplosioni nelle acque di fiumi, laghi e mari.

SOSTANZE TOSSICHE DA MISCELE esplosive di bombe e razzi, componenti velenosi del carburante per missili e munizioni al fosforo entrano nel suolo dove atterrano le munizioni. La flora e la fauna subiscono forti impatti negativi a causa di incendi boschivi, distruzione di habitat, inquinamento acustico; gli animali muoiono nelle esplosioni. Il Parco di Tuzly è uno dei 377 siti Emerald dell’Ucraina, una rete di aree di particolare interesse per la conservazione di specie e di habitat, paragonabile alla rete Natura 2000 europea. Altri 162 siti in Ucraina erano in via di inserimento.

SECONDO I DATI RACCOLTI dal Ukranian Nature Conservation Group (UNCG) almeno il 30% di queste aree ha subito danni a causa della guerra o si trova sotto occupazione. Almeno 100 mila ettari delle foreste di questa rete sono andati a fuoco e fra questi ci sono i 7.600 ettari della Riserva della Biosfera di Chernobyl. La cosiddetta zona di esclusione di Chernobyl (CEZ) copre 2.800 kmq in Ucraina settentrionale, e rappresenta ora la terza riserva naturale più grande dell’Europa continentale; accidentalmente, e paradossalmente, è diventata un iconico esperimento di rinaturalizzazione.

IN SEGUITO ALL’INCIDENTE NUCLEARE furono evacuate 116 mila persone, che sembra fossero più nocive per gli animali selvatici che le radiazioni. Le foreste di Chernobyl, come testimoniano le foto trappole, pullulano di orsi, alci, cervi, caprioli, cinghiali, lupi, linci, volpi, tassi, procioni, castori. Ma le interminabili distese rosse create dai lunghi tronchi degli abeti sono spesso interrotte da altrettante lunghe distese nere di alberi carbonizzati. Sono i risultati dei rovinosi incendi di due anni fa ma anche delle tre settimane di occupazione russa.

DENIS VISHNEVSKIY, IL RESPONSABILE del dipartimenti di ecologia della riserva, parla di 14 mila ettari andati a fuoco, un buco nero le cui conseguenze sulla vita selvatica non sono ancora note perché la zona va ancora sminata. Al momento si stanno conducendo studi sulle popolazioni di roditori, che richiedono spostamenti di minore scala. Il 29% del territorio ucraino è ricoperto da vegetazione naturale e semi-naturale. Più ancora che per le foreste, l’Ucraina si distingue per l’abbondanza e la varietà di steppe, la più alta in tutta l’Europa, che creano diverse tipologie di habitat. Uno di questi è unico, e si trova nell’oblast di Luhansk nel pieno del conflitto. Si tratta delle Steppe depressions, dei laghi effimeri che appaiono nella steppa in primavera con lo scioglimento delle nevi e che si riempiono d’acqua una volta ogni 11 anni: dotate per questo di una vegetazione molto variabile e rara, rappresentano anche una stazione migratoria fondamentale per molte tipologie di uccelli.

UNA PRIMA STIMA DEI DANNI SUBITI in particolare da zone protette come il parco Nazionale delle foreste di Kremin e la riserva regionale Triokhizbensky Steppe ammonta a un miliardo di euro. Un altro habitat unico sono i vulcani di fango della penisola di Kerch, in Crimea. Si tratta di un sistema di 50 vulcani che non superano i 5 metri di altezza e che invece di magma emettono argilla e metano. Nella penisola non sono in corso ostilità aperte, ma lo stato di occupazione che perdura dal 2014 impedisce di avere informazioni sullo stato di conservazione di vegetazione e habitat.

IN GENERALE L’UNCG STIMA che più del 50% degli animali e delle piante inseriti nella lista rossa delle specie che godono di un qualche tipo di protezione, sono minacciate dalle esplosioni, dagli incendi, dall’inquinamento chimico (stimato 15-30 volte superiore alla media) e acustico e dallo spostamento di mezzi pesanti dovuto alla guerra e almeno una ventina di specie di piante potrebbero scomparire del tutto. Per chi da anni si occupa di studiare e proteggere l’enorme complessità e diversità ecosistemica del paese, il panorama è molto scoraggiante. E la loro paura è che i danni più gravi verranno scoperti solo quando la guerra sarà finita.