Ucraina e Russia, è scontro Orbán-von der Leyen
Il premier ungherese a Strasburgo: «Kyev non può vincere sul campo di battaglia»
Il premier ungherese a Strasburgo: «Kyev non può vincere sul campo di battaglia»
Alta tensione al Parlamento europeo con uno scontro inedito sui valori e sull’Ucraina tra la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen e il primo ministro Viktor Orbán, che ha presentato alla plenaria di Strasburgo, dopo successivi rinvii, le «priorità» del semestre ungherese, ormai a metà percorso. Orbán vuole «cambiare l’Europa» e si propone come «catalizzatore di questo cambiamento», ingiungendo alla Commissione di mantenere la «neutralità» e di limitarsi al suo compito ufficiale di «custode dei Trattati». Ma l’aula di Strasburgo è stata anche teatro di un botta e risposta tra il leader magiaro e Ilaria Salis. «L’Ungheria sotto Viktor Orbán – ha detto l’eurodeputata della Sinistra nel suo intervento – è diventata un regime illiberale e oligarchico, uno Stato etnico autoritario che alcuni addirittura chiamano una moderna tirannia». «Trovo assurdo – ha replicato Orbán – che dobbiamo ascoltare chi ha picchiato persone pacifiche nelle strade di Budapest».
L’UNGHERESE sta ottenendo quello che vuole sull’immigrazione ma c’è l’alt dei vertici Ue sull’Ucraina e sui rapporti con la Russia. Le tensioni su questo fronte sono sempre più esplosive, con Bruxelles che ribadisce l’appoggio a Kyiv mentre Orbán ormai dice apertamente che è in atto una «strategia perdente», che «l’Ucraina non può vincere sul campo di battaglia». Ursula von der Leyen: «C’è ancora qualcuno che addebita la responsabilità di questa guerra non contro l’invasore ma contro l’invaso», che non si oppone alla «brama di Putin per il potere ma alla sete di libertà dell’Ucraina». E ha aggiunto: «Bisogna chiedere a costoro: hanno criticato gli ungheresi sull’invasione sovietica nel ’56? O i cechi e gli slovacchi per la repressione sovietica del ’68? O i lituani per il crollo sovietico del ’91?».
ORBÁN nei mesi scorsi ha fatto delle autoproclamate «missioni di pace» a Mosca, Pechino, Washington (dove ha visto Donald Trump), spacciandosi come «rappresentante» della Ue. Adesso punta i piedi sul nuovo pacchetto di aiuti a Kyiv. In ballo c’è un aiuto di 50 miliardi, deciso al G7 nel giugno scorso, 18 miliardi per la Ue, altrettanto per gli Usa, altri 9 miliardi tra Gran Bretagna, Canada e Giappone. Gli Usa pongono la condizione che le decisioni sulle sanzioni alla Russia vengano confermate non ogni sei mesi, come adesso, ma ogni tre anni, per poter assicurare il gelo degli asset della Banca centrale russa conservati in Europa. Ma l’Ungheria blocca questa modifica, Orbán sostiene che è il momento di «aspettare» il risultato delle elezioni Usa, perché «ci sono due modi assolutamente diversi per risolvere il problema» e spera in Trump, che Orbán festeggerà in caso di vittoria «stappando molte bottiglie di champagne».
LA TENSIONE con il leader magiaro riguarda anche l’energia: l’Ungheria, come l’Austria e la Slovacchia, continua a importare gas russo via la pipeline ucraina. Ma questo rifornimento è destinato a finire entro l’anno. La Ue ha diminuito del 40% la dipendenza dal gas russo, che comunque continua a entrare attraverso triangolazioni (con l’Azerbaijan e altri, mentre il 5% arriva ancora direttamente con la pipeline ucraina), in Ungheria arriva anche grazie alla Serbia, e ieri Orbán ha difeso l’allargamento Ue a Belgrado. Orbán non vuole cedere sul gas: «L’abbandono delle fonti di energia russe hanno comportato una perdita importante della crescita del pil europeo» rispetto a Usa e Cina, ha sottolineato. E ha approfittato per affossare il Green Deal: «Non dobbiamo credere che la transizione verde offra in sé la soluzione ai problemi». Per il primo ministro ungherese «la decarbonazione equivale a un rallentamento della produttività e a un calo dei posti di lavoro».
AL PARLAMENTO EUROPEO Valérie Hayer (Renew) seguita da altri ha di nuovo chiesto che l’Ungheria sia privata del diritto di voto in Consiglio, a causa della procedura in corso in base all’articolo 7 (rispetto dello stato di diritto). La socialista Iratxe Garcia Perez ha sottolineato il «falso patriottismo per demolire la democrazia» di Orbán e dei suoi amici «Patrioti».
Ma le tesi di Orbán hanno successo sul fronte dell’immigrazione. Oggi c’è un incontro a Lussemburgo dei ministri degli Interni dei 27. C’è un testo firmato da 15 paesi (tra cui Germania, Francia, Italia) che chiede la revisione della direttiva «Ritorni», considerata non efficace (risale al 2015, modificata nel 2018, mentre una nuova riforma è stata bocciata dalla commissione del Parlamento europeo Libe – diritti civili- nel 2019). Il nuovo ministro degli Interni francese, Bruno Retailleau, chiede un «cambiamento di paradigma» e, mentre già Olanda e Ungheria hanno chiesto l’opt out dal Patto Asilo Migrazione passato nel maggio scorso, adesso sta vincendo l’idea del modello Meloni di hotspot fuori dalle frontiere Ue.
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