Tutto inizia (e finisce) in Pennsylvania
Stati uniti Secondo le analisi vincerà chi si aggiudica i 19 delegati nel collegio elettorale dello stato della Rust Belt
Stati uniti Secondo le analisi vincerà chi si aggiudica i 19 delegati nel collegio elettorale dello stato della Rust Belt
Philadelphia: tutto è iniziato lì, nel 1751, con una campana che portava l’iscrizione: «Proclamerete la liberazione per tutti i suoi abitanti» (Levitico 25,10). La campana si sarebbe crepata al primo rintocco ma la frase sarebbe stata usata dagli abolizionisti per la loro lotta contro la schiavitù e, nell’Ottocento, il manufatto sarebbe diventato la Liberty Bell, la campana della libertà, oggi un’icona della democrazia americana.
Tutto è iniziato lì (compresa la Costituzione del 1787) e tutto potrebbe finire lì, tra due mesi, se Donald Trump, l’ex presidente che tentò di rovesciare con la forza il risultato delle elezioni del 2020, vincerà il prossimo 5 novembre. Il motivo è semplice: nei calcoli degli esperti quest’anno la Pennsylvania è lo stato-chiave. Quasi certamente chi si aggiudica il voto dei 19 delegati nel collegio elettorale (l’organo che elegge il presidente, negli Stati uniti non sono direttamente i cittadini a farlo) ottiene i 270 voti necessari e si insedia alla Casa bianca.
IN TEORIA sarebbero possibili anche altre maggioranze: per esempio Kamala Harris potrebbe perdere in Pennsylvania e vincere in Georgia, Arizona e Nevada, raggiungendo ugualmente il “numero magico” di 270 ma è una possibilità piuttosto remota. Questo lo sanno anche i dirigenti delle campagne elettorali dei due candidati, che in Pennsylvania stanno spendendo per la propaganda elettorale quasi di più che in tutti gli altri stati messi insieme. Per esempio, il solo Timothy Mellon (erede del robber baron di Pittsburgh Andrew Mellon) ha donato fino ad ora 165 milioni di dollari a Trump.
La Pennsylvania è uno stato sempre in bilico tra democratici e repubblicani (vinto da Trump nel 2016 e da Biden nel 2020) perché il suo panorama demografico è molto variegato, con grandi contrasti tra i centri urbani, i sobborghi residenziali e le aree rurali più povere. Partiamo da Philadelphia, con circa 1,6 milioni di residenti, la sesta città più popolosa degli Stati uniti. È una città eterogenea, con una maggioranza relativa di afroamericani, circa il 42%, insieme ai bianchi (34%), gli ispanici (15%) e gli asiatici (7%). I suoi punti di forza sono settori come l’istruzione, la sanità e la finanza. Ci sono prestigiose università come la University of Pennsylvania e la Temple University ma ha anche uno dei tassi di povertà più alti tra le grandi città statunitensi, con il 23% degli abitanti che vive al di sotto della soglia di povertà. Insieme alle contee suburbane come Montgomery, Bucks, Chester e Delaware (note per la loro ricchezza e per gli alti livelli di istruzione) Philadelphia è, con Pittsburgh, il bastione dei democratici nello Stato.
PITTSBURGH è la seconda città della Pennsylvania, ha una popolazione di circa 300.000 abitanti, prevalentemente bianca (66%) ma con un’importante minoranza nera (23%). Grande centro per la produzione dell’acciaio a fine Ottocento, sotto la guida spietata di Andrew Carnegie e Henry Clay Frick Pittsburgh negli ultimi decenni si è trasformata in un hub tecnologia, sanità e istruzione. È spesso citata come uno dei rari esempi di città della Rust Belt, la cintura della deindustrializzazione (e quindi della ruggine) che è riuscita a passare a un’economia basata sulla conoscenza.
La Pennsylvania però è grande (120.000 chilometri quadrati, come tutta l’Italia settentrionale) ed è prevalentemente costituita da aree rurali che da decenni non se la passano troppo bene a causa del declino delle industrie tradizionali, come l’estrazione del carbone e del petrolio, anche se quest’ultimo è stato sostituito dallo sfruttamento del gas naturale attraverso il fracking (non a caso Kamala Harris ha cambiato posizione e adesso dice che sostiene questa tecnologia ecologicamente disastrosa per non perdere voti). In ogni caso, le opportunità di lavoro fuori dai due grandi centri tendono a essere limitate, nelle campagne i redditi familiari sono più bassi e i tassi di povertà più alti.
SONO QUESTE le aree che tendono a votare per i repubblicani, compensando le larghe maggioranze dei democratici a Philadelphia, Pittsburgh e Harrisburg: a livello dell’intero stato nel 2016 Trump vinse per meno di 45.000 suffragi su quasi 6 milioni di voti validi e nel 2020 Biden lo sconfisse con uno scarto di circa 70.000 voti su un totale di quasi 7 milioni. Quest’anno i sondaggi danno Kamala Harris leggermente in vantaggio ma si sa che i polls tendono a sottovalutare il voto per i repubblicani.
La fessura nella Liberty Bell rimane aperta, il pericolo per la democrazia americana è tutt’altro che scomparso.
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