Oggi votano 9 milioni 810 mila greci. La maggior parte sono donne e pensionati. I nuovi elettori, coloro che hanno compiuto il 17simo anno di età e voteranno per la prima volta, sono 438 mila. Tra di loro si annoverano anche quei 250 mila giovani, che già lavorano in strutture turistiche nelle isole, cui il premier Kyriakos Mitsotakis non ha voluto concedere il permesso di tornare oggi a casa per votare. La società americana che cura la campagna elettorale di Mitsotakis ha scoperto che tra i ragazzi il premier non va fortissimo. È meglio quindi che non tornino a casa.

Al contrario di Mitsotakis, Tsipras conta molto sul voto giovanile, anche se c’è il rischio che una parte vada dispersa tra le tante liste della sinistra. Tra queste solo i comunisti del Kke (il più vecchio partito del paese) e il Mera25 di Varoufakis entreranno in parlamento. Le altre liste, per la maggior parte, rimarranno sotto l’uno per cento.

Syriza affronta questa scadenza elettorale con grande impegno e con l’aria del vincitore sicuro. La verità però è che non è riuscito a liberarsi completamente di un grave peso. Riguarda il suo cedimento nell’agosto del 2015 alle feroci pressioni di Berlino, accettando il terzo disastroso «piano di salvezza», cioè di insopportabile austerità. È vero che Tsipras subito dopo ha proclamato nuove elezioni nel settembre 2015 e le ha vinte. Ed è anche vero che negli anni seguenti ha gestito nella maniera migliore possibile le imposizioni punitive dell’eurozona, salvando il salvabile, difendendo le classi più deboli e conducendo infine il paese fuori dalla crisi. Ma come Tsipras stesso ha ammesso qualche anno fa, nella campagna per le elezioni del 2015 aveva tirato troppo la corda, usando slogan «populisti» e «demagogici», alimentando così «aspettative irrealizzabili». Oggi però si trova in un paese senza memoria e completamente disinformato (le tv greche sono in mano alla destra di governo), a dover ricordare a tutti che certe misure odiose, come il pignoramento della prima casa per debiti bancari, non erano scelte sue ma di Angela Merkel.

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La scommessa che Syriza ha fatto imponendo a suo tempo il sistema elettorale proporzionale non riguarda solo la rappresentanza in parlamento e la formazione di un governo di coalizione. Punta anche alla regolamentazione dei rapporti interni nell’area della variegata sinistra ellenica, da tempo sofferente di autismo ideologico e dispersa in mille rivoli. È un terreno minato, in cui c’è ancora molto da fare.

Lasciando da parte i socialisti del Pasok, che ancora devono decidere se sono di sinistra o di destra e cosa faranno da grandi, c’è da confrontarsi con il Partito comunista Kke forte del 5%. Oggi i rapporti tra Kke e Syriza sono praticamente inesistenti. Pochi giorni fa il segretario comunista Dimitris Koutsoumbas ha dichiarato che «il governo Tsipras è stato il peggiore degli ultimo decenni». Attacchi del genere il partito comunista li lancia in ogni direzione. In sostanza, la loro attività politica si limita in sparate del genere. I comunisti greci da molti anni vivono trincerati in uno splendido isolamento a difendere la «purezza ideologica» del marxismo-leninismo e l’esperienza sovietica, che è terminata «a causa delle trame dell’imperialismo e del tradimento di Gorbaciov». Difficile parlare di politica con un partito simile.

Anche con Varoufakis i rapporti continuano a essere freddissimi. La ferita del 2015 non si è mai rimarginata. Il brillante economista segue la sua strada con Mera25, un movimento internazionale contro il neoliberalismo. In Grecia il disegno di «ribaltamento» ha un certo seguito, in queste elezioni c’è anche un’alleanza con altri ex Syriza. E Varoufakis non nasconde la sua soddisfazione. Questa volta quindi se dovrà partecipare a qualche governo, lo farà non da ministro ma da premier, pronto a duellare con il «minotauro globale».