Trump non può essere normale
Che cosa non ha detto Donald Trump al Congresso? Non ha detto nulla sulla Russia. Nulla sulle guerre americane ancora in corso in Iraq e in Afghanistan. E sulla Siria? […]
Che cosa non ha detto Donald Trump al Congresso? Non ha detto nulla sulla Russia. Nulla sulle guerre americane ancora in corso in Iraq e in Afghanistan. E sulla Siria? […]
Che cosa non ha detto Donald Trump al Congresso? Non ha detto nulla sulla Russia. Nulla sulle guerre americane ancora in corso in Iraq e in Afghanistan. E sulla Siria? Zero.
Ovviamente ha sorvolato sulla ripresa dell’occupazione. Che non poteva avere posto nel quadro della desolazione americana che dice di aver ereditato dall’amministrazione Obama.
Silenzio sull’ambiente e sul clima. E neppure una parola sui media fino a ieri la sua bestia nera.
Il non detto, mescolato con il solito repertorio di promesse mirabolanti per rifare grande l’America e con il ritornello delle minacce esterne che incombono sul paese, è andato in secondo piano nei commenti a caldo del primo discorso del presidente repubblicano di fronte al Congresso riunito.
Siccome è stato un discorso che questa volta somigliava a un discorso, non una litania di insulti e di contumelie, come nei primi cento giorni da eletto e da presidente, solo per questo Donald Trump ha ricevuto un plauso pressoché generale e, sicuramente, ha fatto tirare un respiro di sollievo a molti nei palazzi della politica di Washington.
Ha letto un testo scritto sul gobbo elettronico, non ha improvvisato, non ha fatto il battutaro, è sembrato quasi un presidente, e tanto è bastato per placare le ansie del suo partito che notoriamente l’ha dovuto accettare obtorto collo, si è adeguato al suo stile strampalato, ma senza mai davvero accettarlo come uno di loro.
Ma anche nei media, perfino in quelli che finora l’hanno avversato, il cambiamento di tono è bastato per placare le critiche. Su twitter, il direttore di Slate Jacob Weisberg ironizza pesantemente sui commentatori ansiosi di sdoganare The Donald: «I nemici del popolo recensiscono positivamente Trump solo perché non ha sbraitato come un dittatore arrabbiato».
Non ci si lasci prendere in giro, avverte sul New Yorker John Kassidy, cogliendo un clima insidioso a Washington dopo il discorso di martedì, l’atmosfera dominata dal desiderio di un Trump «normalizzato», non importa se la forma malamente nasconde contenuti che sono sempre quelli. Nella sostanza Trump non si è discostato di un millimetro da quanto ha affermato nella campagna elettorale e nella fase iniziale della sua presidenza, e infatti i punti principali del suo programma, dall’azzeramento della riforma sanitaria alle misure draconiane contro gli immigrati, sono stati coperti dalle ovazioni dei parlamentari repubblicani.
Il testo del discorso, d’altra parte, è opera di Steve Bannon, il Suslov del trumpismo che cita Julius Evola e che sa parlare ai cuori della maggioranza silenziosa e alle teste malate delle formazioni della destra più oltranzista.
Perché dunque ha cambiato registro, Trump? E questo cambiamento segnala un mutamento di stile, o lo rivedremo presto in azione, con i suoi tweet e le sue volgarità?
Trump è un intrattenitore che sa usare il fattore sorpresa e ama e sa spiazzare. L’idea, questa volta, è stata di stupire la platea rovesciando il solito spartito e di andare contro le attese della vigilia. Inoltre, con i suoi strateghi ha analizzato un quadro che iniziava a essere pericolosamente negativo, con sondaggi che non facevano che declinare. Adesso, l’abbassamento dei toni dovrebbe produrre un balzo nei livelli di popolarità, prevede un esperto di queste cose come David Axelrod, il principale stratega di Obama.
Nei prossimi giorni la Casa Bianca tornerà sui dossier che hanno infiammato l’opinione pubblica, innanzitutto la versione riscritta dell’ordinanza contro l’immigrazione. Nel clima prevedibilmente infuocato che susciteranno le nuove misure, quale Trump vedremo? The Donald senza rete e il Trump che recita la parte del presidente visto martedì?
Che poi Trump aspiri davvero a riconciliare l’America lacerata , come ha detto di fronte al Congresso, è davvero dargli un credito che non solo non merita ma che egli stesso non cerca di ottenere nei fatti. Trump è e vuole essere il presidente di una parte dell’America, quella che l’ha votato e che egli vuole al suo fianco in continua mobilitazione, sapendo che, esclusi «i nemici del popolo», l’altra America non si farà incantare dalle piroette di un discorso, che sono solo acrobazie retoriche, non certo una svolta.
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