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Trump, la carta matta nel mazzo del Gop

Trump, la carta matta nel mazzo del Gop

Stati uniti Piano semi-segreto per evitarla

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 23 marzo 2016

Il percorso di Trump verso la nomination ha provocato vari gradi di panico all’interno del partito repubblicano, che sta cercando in ogni modo di trovare un mezzo per fermare la sua campagna.
Durante le primarie in Ohio, Florida, North Carolina, Illinois e Missouri la strategia del partito per arginare e neutralizzare Trump è diventata palese, si chiama contested o brokered convention, in altre parole tentare di arrivare alla convention di luglio senza un candidato chiaro, in modo da andare a scrutinio, come accaduto nel ’76 con Reagan e Ford. E se neanche così si dovesse arrivare a un candidato «digeribile», allora si passerebbe «ai coltelli», iniziando trattative più o meno sottobanco per stabilire il candidato prescelto per le urne.

Per trovare un precedente di questo tipo per il Gop bisogna risalire al 1948. Scenario non gradevole e non portatore di doni elettorali, in pratica si stabilisce che il partito e la sua base sono nella più totale confusione e divisi, ma è proprio ciò che si sta cercando di creare.

Negli ultimi giorni al fine di fermare Trump, gli altri candidati repubblicani, Rubio, Cruz e Kasich hanno fatto fronte comune, anche se questo ha significato cedere alcune vittorie l’uno all’altro, lasciando che Kasich vincesse in Ohio e più in generale tentando di favorire Cruz.
Per la buona riuscita del piano, Marco Rubio – che poi, perdendo la Florida si è ritirato – aveva esortato i propri elettori in Ohio a non votare per lui ma, in quello stato, a convergere su Kasich, dove effettivamente poi il governatore ha vinto.

Quello che è in gioco va oltre questa tornata elettorale: del partito repubblicano e conservatore, dopo l’entrata di Trump, è rimasto ben poco. Una sua nomination vedrebbe i rappresentanti Gop sgretolarsi in un sistema di atomi repubblicani slegati fra loro, tutti portavoce di varie gradazioni di destra. Una eventuale elezione di Trump a presidente, poi, lungi dall’unificare, porrebbe ulteriori problemi di rappresentanza e di appoggio unitario verso un presidente degli elettori ma non del partito.

Nei giorni passati si è parlato di scissione del partito, di nascita di una specie di Rifondazione repubblicana chiamata «partito della Costituzione»; questo molto probabilmente non avverrà ma è il segnale di quanto questa situazione sia problematica.

Facendo un passo indietro ci si ricorda come la prima elezione di Bush sia stata una frode a cielo aperto e la sua rielezione pompata da steroidi di terrore iniettati con tutti i modi leciti e non. La crisi dei repubblicani era solo rimandata e Trump l’ha resa palese facendosi portavoce dello scontento di una base che non si vede rappresentata e protetta dall’odiato establishment.

Andare a una convention per contestare il candidato inasprirebbe ancor più gli animi ma consentirebbe al partito di tirare fiato e cercare di rimettere insieme i pezzi per produrre rappresentanti accettabili, sia agli occhi degli elettori più inferociti che a quelli di una società civile conservatrice ma non forcaiola.

Il piano repubblicano, in somma, parrebbe questo: arginare Trump, imporre probabilmente Cruz (che a toni sommessi non è messo benissimo nemmeno lui), arrivare alla convention senza un candidato in possesso di numeri schiaccianti e andare alle elezioni sperando in bene. Il tutto mentre in casa democratica c’è lotta ma con i guanti bianchi e ce la si gioca di fioretto per conquistare il voto di una fetta di popolazione (afroamericani, latinos, nuovi americani) che non mette in imbarazzo nessuno, anzi. Mentre questo allargamento portato da Trump alla parte di destra più becera non è minimamente gradito nel vecchio partito.

Trump ha già detto che se non sarà il candidato prescelto, gli Usa saranno messi a ferro e fuoco. Kasich intanto sta vivendo un momento di popolarità tra i moderati che lo preferiscono a Cruz. Si è parlato anche di Paul Ryan, speaker della Camera che riesce a unire l’estrema destra del Tea party e i centristi, e che ha però declinato l’invito. Si parla ora dell’entrata di un candidato indipendente ma lo stesso Ryan ha sottolineato come il prescelto in una convention debba comunque essere uno di quelli che hanno fatto la campagna. Il futuro del Gop non è ancora scritto.

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