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Trump-Corea del Nord, un esame di maturità per Pechino

Trump-Corea del Nord, un esame di maturità per PechinoXi Jinping a colloquio con Donald Trump – LaPresse

Rischio escalation La Cina ora deve dimostrare la sua rilevanza politica, oltre che economica, disinnescando il rischio che Pyongyang consegni una fetta d'Asia a questa America

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 14 aprile 2017

Mercoledì Xi Jinping ha proposto la ricerca di una soluzione pacifica a Trump per prendere tempo e tentare di muovere le proprie leve per dissuadere Pyongyang da mosse avventate. La prima data “sensibile” è quella del 15 aprile, giorno che marca il 105esimo anniversario della nascita di Kim Il-sung – fondatore della Repubblica Popolare Democratica di Corea – l’Eterno presidente, nonno dell’attuale leader e che nella liturgia nord coreana può diventare la giornata che rischia di produrre sorprese, da parte del giovane Kim, non gradite a Pechino e per di più rischiose, viste le premesse – e le promesse – di Trump.

Ora per Pechino però è il momento di mostrare statura politica internazionale oltre alla ormai conclamata forza economica. I rischi di un’escalation per la Cina sono chiari: in caso di conflitto ci sarebbe un primo problema oggettivo di profughi nel nord est cinese e il rischio di una penisola coreana in mano Usa tanto più ora che Seul fino al 9 maggio (quando si terranno le elezioni a seguito dell’impeachment di Park) sarà senza guida. Cadrebbe dunque un bastione fisico e territoriale capace di separare il paese da una presenza militare Usa. La Cina ha fatto anche sapere che nonostante l’accordo militare con Pyongyang del 1961, che prevede intervento militare se uno dei due stati venisse attaccato, non sarebbe valido oggi perché le premesse dell’accordo si baserebbero sullo «sviluppo pacifico» dei due paesi. Eventualità che la Corea spezzerebbe con un nuovo e avventato test nucleare. Secondo voci interne all’esercito la Cina non avrebbe alcuna intenzione di difendere Kim e il suo attuale regime. Diverso sarebbe l’approccio di fronte a una Corea più ragionevole (ci sarebbero aiuti e sostegno internazionale).

Sapere i rischi e conoscere ormai l’imprevedibilità di Trump, dimostrata già in occasione del bombardamento in Siria con Xi al proprio tavolo, inoltre, obbliga la Cina a temporeggiare con gli Usa ma a prendere finalmente una posizione netta nei confronti di Kim. Il Global Times – il giornale dei falchi di Pechino e talvolta in grado di fare capire l’aria che tira nel vertice politico del paese – è stato chiaro: niente colpi di testa, pena fine delle esportazioni di petrolio al Nord e un completo isolamento internazionale. Ma chissà che Pechino non debba essere ancora più dura, magari ventilando anche l’ipotesi di un regime change a un giovane leader che del resto la Cina di Xi non sembra mai aver apprezzato granché. In questo caso ci si muove tra dubbi perché ora come ora – a causa degli sporadici rapporti ufficiali- è difficile sapere la “presa” che Pechino può avere su parti di esercito e del partito dei lavoratori nord coreano.

Xi si gioca tanto (perfino al proprio interno nel sensibilissimo anno del congresso del Pcc) anche perché i bene informati ritengono che in realtà gli spazi di manovra eventuali con gli Usa sarebbero perfino migliori di prima. Con Trump in Florida non c’era Bannon, che ha pronosticato un conflitto con la Cina nel giro di dieci anni (e il suo “siluramento” è stato letto da Pechino come un segnale positivo) e non era in prima fila, per quanto presente, Peter Navarro, il più “anti cinese” dei consiglieri di Trump. A Pechino sono certi che Washington adotterà una linea “kissingeriana” considerata morbida dai falchi americani, ma approvata da chi ora pare gestire le cose, ovvero la stella in ascesa nel team trumpista, il genero Jared Kushner dato molto vicino proprio a Kissinger. Non a caso ieri Trump ha lasciato intendere che non accuserà la Cina di manovrare i mercati con la propria valuta, affievolendo molto i toni contro Pechino, forse perché impegnato a provocare Putin.

Ma Pechino per sfruttare il momento che sembrava negativo – dopo la cena in Florida con tanto di missili e torte al cioccolato in molti avevano parlato di uno Xi “umiliato”- ma che forse non lo era davvero, deve compiere un passo di grande rilevanza internazionale del punto di vista politico, disinnescando il rischio che Pyongyang consegni una fetta d’Asia a questa America. Se l’Asia è considerata dalla Cina il proprio “cortile di casa” Pechino deve diventarne garanzia politica, confermando così la propria vocazione pacifica: paternalistica quanto si vuole ma non da “gendarme”.

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