Triste sorte di una donna nell’Ohio immaginato da Don Robertson nel ’77
Scrittori statunitensi «Miss Margaret Ridpath e lo smantellamento dell’universo», Nutrimenti
Scrittori statunitensi «Miss Margaret Ridpath e lo smantellamento dell’universo», Nutrimenti
L’Italia è diventata, negli ultimi anni, la vera patria letteraria di Don Robertson, nato nel 1929 e morto alla fine del secolo scorso, al cui rilancio aveva lavorato soprattutto Stephen King, salutandolo come un maestro di stile e di coerenza narrativa; ma dopo un breve ritorno di fiamma nello scorso decennio l’interesse per lui si è decisamente spento.
Nel nostro paese invece l’autore, del quale era stato tradotto il solo Due armate per una bandiera, più di cinquant’anni or sono, gode oggi di una grande e meritata popolarità grazie all’eccellente lavoro di Nutrimenti (e del curatore e traduttore Nicola Manuppelli), che partendo dal memorabile L’uomo autentico – storia di vecchiaia e vendetta con un’introduzione proprio di King – ha proposto altri titoli di grande rilievo, tra i quali spicca il colossale romanzo in due volumi Paradise Falls, che prende il titolo dalla immaginaria cittadina dell’Ohio al centro di quasi tutte le opere di Robertson.
Ora esce finalmente anche quello che è probabilmente il suo capolavoro: Miss Margaret Ridpath e lo smantellamento dell’universo (Nutrimenti, pp. 544, € 22,00) un grande affresco sulla storia americana ambientato anch’esso a Paradise Falls e centrato sul memorabile personaggio femminile che dà il titolo al libro e del quale, nelle primissime pagine, ci viene annunciata la morte in circostanze violente che saranno chiarite nel corso della storia. Donna contraddittoria, tanto incurante delle convenzioni quanto frenata da una paura di vivere che ha segnato ogni sua scelta sin dagli anni dell’adolescenza, Margaret sogna di possedere una forza che forse le appartiene ma che non sa riconoscere. Immagina di essere fatta di ferro perché «il mondo era fatto di ferro, e lei voleva essere come il mondo.
A volte camminava dritta e pensierosa, e tratteneva il respiro, e sperava e sperava e sperava, e non emetteva un suono, e continuava ad aspettare di sentire sé stessa sferragliare. Ma non sentiva nulla, e il silenzio le faceva venir voglia di piangere. Eppure, non piangeva. Non piangeva quasi mai. Sapeva di non potersi permettere di rivelare le piume, i marshmallow e tutte le altre cose morbide e traballanti che si trovavano dentro di lei».
Nel corso della sua vita, seguita e raccontata attraverso una armoniosa sequenza di salti temporali, Margaret rinuncerà agli studi per occuparsi della madre Inez, inferma, insopportabile, umanissima; sfrutterà il suo talento matematico e la razionalità – che utilizza per tenere a bada la paura – per assicurarsi un tranquillo lavoro come contabile e per diventare una campionessa di bridge; perderà la verginità a quasi cinquant’anni e si concederà due storie d’amore con uomini brutti ma capaci di risvegliare il suo desiderio; e morirà compiendo un gesto di coraggio così folle e puro da suscitare sgomento nei famigliari e in chiunque l’abbia conosciuta.
Mentre seguiamo le sue vicende, ammirati dalla profondità e dalla delicatezza con cui ne viene tratteggiata la psicologia, scorre davanti ai nostri occhi la storia di una nazione della quale Paradise Falls – non diversamente dalla Contea di Yoknapatawpha in Faulkner o dalla cittadina di Castle Rock in tanti romanzi di Stephen King – rappresenta la riduzione a microcosmo.
Dalla Grande Depressione agli orrori della guerra, dai tranquilli anni Cinquanta fino all’epoca di Nixon, al quale sono riservate pagine davvero feroci, tutto viene filtrato dalla prospettiva di Margaret e del suo entourage, al cui interno hanno un posto speciale le due governanti che la aiutano a prendersi cura di sua madre: Wanda Ripple, che ha sepolto due mariti a pochi giorni dalle nozze e decide di odiare l’inferma Inez, perché volerle bene significherebbe ucciderla; e Pauline Jones, reginetta di bellezza distrutta dall’amore impossibile per il travestito Lloyd Sherman. Tra dialoghi memorabili per realismo e penetrazione, digressioni che pesano nell’economia del romanzo quanto i grandi snodi di trama, Robertson si conferma una delle voci più importanti – e ingiustamente misconosciute – della narrativa americana del secondo Novecento.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento