Bella l’immagine del Presidente Mattarella con l’ex Presidente della Repubblica di Slovenia, all’Università di Trieste come tre anni fa a Basovizza, a riproporre una storia di amicizia e vicinanza tra i popoli. Peccato resti abbastanza in sordina mentre il negazionismo nazionalista continua a seminare rancore e divisione nonché disprezzo per la lotta di Liberazione. Non c’era il sindaco di Trieste alla cerimonia in memoria dei 71 fucilati al Poligono di Tiro di Opicina del 3 aprile 1944, né altri in sua vece. Poco male vien da dire: meglio niente che quella comparsata scandalosa dell’anno scorso, lui solo senza fascia tricolore in mezzo ai sindaci degli altri Comuni della provincia.

APRILE 1944. Ottant’anni fa, 71 fucilati che sarebbero stati 72 se Stevo Rodic´, bosniaco di 19 anni, non fosse riuscito a strisciare, ferito, nel bosco fino a una casa dove lo avevano accolto e curato per permettergli poi di raggiungere i partigiani. Settantuno giovani e giovanissimi, una ragazza di 20 anni, prelevati dal carcere del Coroneo di Trieste e portati lassù sul Carso, un paio di chilometri via dalla città. Italiani sloveni, croati, catturati a Trieste, a Monfalcone, in Istria. Operai, studenti, impiegati, marinai, antifascisti di cui non restò nulla: qualche sacco di ossa incenerite buttato in mare dopo il passaggio nel forno crematorio della Risiera. Aprile 1944, la primavera di sangue, le Fosse Ardeatine del confine orientale. Un mese di retate pesantissime a scompaginare le reti di collegamento tra la città e il circondario e poi, il 23 aprile, 51 persone tra donne e uomini impiccate in quel palazzo Rittmeyer di via Ghega che oggi ospita il Conservatorio di musica Tartini e che allora era Deutsches Soldatenheim: appesi alle finestre, sulle balaustre di marmo delle scale, tra le colonne, in bella vista dalla strada per cinque giorni con la Guardia civica a controllare che nessuno intervenisse. Antifascisti prelevati dalle carceri e sfortunati passanti: l’importante era terrorizzare, importante era vendicare qualche bomba e mostrare la spietatezza di chi comandava.

C’ERANO STATE AZIONI di disturbo e attentati, certo, e in quella primavera la causa scatenante delle rappresaglie erano state due mine a tempo. Una in un cinema di Opicina, l’altra alla loro mensa in palazzo Rittmeyer. Alcuni azeri tra gli attentatori, soldati dell’Armata Rossa ex prigionieri dei tedeschi e poi disertori della Wehrmacht passati nelle file dell’Esercito jugoslavo di Liberazione. E un partigiano da leggenda: Mehdi Hüseynzade (Mikhailo) comandante della Compagnia russa di ricognizione diversiva, che parlava fluentemente una decina di lingue e si metteva la divisa tedesca per infiltrarsi tra gli ufficiali e le SS e piazzare indisturbato le sue bombe. Sconosciuto in Italia, a Mikhailo sono stati dedicati libri, film e monumenti, nella sua natia Baku come a Nova Gorica (in Slovenia) dove è sepolto. Aprile 1944. Centoventidue morti solo a Trieste in quell’unico mese e poi tutto intorno, nell’Istria martoriata, fino al paese di Lipa, 520 abitanti, un centinaio di case, niente luce elettrica e l’acqua si prende dal pozzo nel centro del paese. Lipa sta proprio all’incrocio della strada e della ferrovia che collegano Trieste a Rijeka e a Postojna e Ilirska Bistrica.

UN CROCEVIA troppo importante per permettere che la resistenza locale disturbi il trasporto di truppe e armamenti: il 30 aprile, in due ore, tutto il paese viene raso al suolo e dopo che la furia selvaggia ha sgozzato e mitragliato, la gente rimasta viene rinchiusa in un edificio dato alle fiamme. Troppe le salme che i partigiani, arrivati la mattina seguente, non riescono nemmeno a riconoscere. E non erano solo i tedeschi delle SS e del Bandenjagtkommando des BdS Italien (cacciatori di banditi delle forze di sicurezza in Italia), c’era anche la collaborazione di circa 150 appartenenti alla Milizia fascista tra i quali anche i membri della famigerata Compagnia autotrasportata Mazza di Ferro del secondo Reggimento della Milizia per la Difesa Territoriale. Ma al sindaco di Trieste Roberto Dipiazza tutto questo non interessa e le cerimonie antifasciste le lascia all’Anpi, lui preferisce stringere la mano a quelli della X Mas.