Internazionale

Tregua, Hamas alla prova di forza

Palestinesi fuggono nel nord di Gaza mentre i carri armati israeliani bloccano la strada Salah al-Din nella Striscia di Gaza durante il cessate il fuoco di quattro giorni foto ApPalestinesi fuggono nel nord di Gaza mentre i carri armati israeliani bloccano la strada Salah al-Din nella Striscia di Gaza durante il cessate il fuoco di quattro giorni – Ap

Gaza Il movimento islamico accusa Israele di violare le intese per il cessate il fuoco. Ritardo nel secondo scambio ostaggi-prigionieri. I mediatori del Qatar da ieri a Tel Aviv. Per allungare il cessate il fuoco e discutere il futuro politico di Gaza

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 26 novembre 2023
Michele GiorgioGERUSALEMME

Partito da Doha, l’aereo con a bordo i mediatori del Qatar ieri è atterrato prima Larnaca e poi si è diretto verso Tel Aviv. Per non stabilire il precedente di un volo diretto per Israele. I due paesi formalmente non hanno relazioni diplomatiche. Ma i contatti vanno avanti da anni e Doha è stata centrale per l’aiuto umanitario a Gaza in cui ha investito e donato miliardi di dollari con l’ok di Israele. Il Qatar allo stesso tempo è un alleato di Hamas e l’arrivo a Tel Aviv dei suoi mediatori – protagonisti dell’accordo per lo scambio tra ostaggi israeliani a Gaza e i prigionieri palestinesi in Israele – conferma che la tregua di quattro giorni cominciata martedì ha aperto una fase in cui il movimento islamico ritiene di avere spazio di manovra. Ufficialmente la presenza in Israele dei mediatori del Golfo è volta a creare le condizioni per allungare il cessate il fuoco. In realtà i colloqui, che non coinvolgono solo gli israeliani ma a distanza anche gli Usa e attori regionali, vertono anche sul futuro politico di Gaza.

«Israele e parti occidentali condizionano la ricostruzione di Gaza all’uscita di scena di Hamas, anche da un punto di vista politico», ci dicevano ieri fonti giornalistiche indipendenti di Gaza «i donatori, che saranno gli Usa, i paesi occidentali e i loro alleati arabi, in accoglimento della linea del pugno di ferro di Israele, avvertono che non renderanno disponibili i miliardi di dollari necessari per rimettere in piedi Gaza e la sua gente se al potere ci sarà, anche solo politicamente, Hamas. Al movimento islamico, affermano, non dovrà essere consentita la partecipazione ad eventuali elezioni. Altrimenti niente ricostruzione». Israele da parte sua, hanno aggiunto le fonti, ripete che non lascerà militarmente Gaza prima che sia smantellato il braccio armato di Hamas. A conferma di ciò, il capo di stato maggiore Herzi Halevi ieri ha ribadito che, terminati i giorni di tregua, le truppe ai suoi ordini continueranno l’offensiva di terra e riprenderanno i bombardamenti. In alternativa, hanno concluso le fonti, Israele potrebbe accettare la presenza a Gaza di una forza multinazionale armata, di cui potrebbe far parte la Turchia.

Per Ghassan Khatib, analista e docente dell’università cisgiordana di Bir Zeit, l’esclusione di Hamas che vorrebbero Israele, Usa, Europa e, pare, alcuni paesi arabi, «si scontra con la realtà sul terreno. Tra i palestinesi Hamas è la forza più popolare in questo momento, perché ai loro occhi incarna la resistenza contro Israele e l’indipendenza dalle imposizioni di Usa e Europa». Hamas, ha detto Khatib al manifesto, «potrà pure essere sconfitto militarmente ma continuerà a rappresentare una idea che non può essere cancellata con un colpo di spugna». Secondo l’analista «Il movimento islamico punta ad affermarsi in via definitiva come la forza maggioritaria tra i palestinesi a Gaza, in Cisgiordania e Gaza e pare vicino ad ottenere quel risultato. Dovesse alla fine ottenere la liberazione di un ampio numero di prigionieri politici, inclusi alcuni di quelli più noti ed importanti, risulterà vincente agli occhi della maggioranza della popolazione anche se sarà sconfitto militarmente Gaza». Israele ne è cosciente, ha concluso Khatib «per questo non credo che (il premier Netanyahu) rinuncerà ad usare la forza e a continuare la guerra contro Gaza». In questo quadro fatto di indiscrezioni, valutazioni e previsioni, nessun inserisce un ruolo per l’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen. L’Amministrazione Biden si è espressa a favore del «ritorno» dell’Anp a Gaza. Tuttavia, il secco no di Israele a questa possibilità ha raffreddato la soluzione proposta dalla Casa Bianca.

Al di là di ipotesi e piani veri e presunti in cantiere, Hamas, forte del consenso popolare di cui gode – più in Cisgiordania che a Gaza, dato non insignificante – non ha alcuna intenzione di cedere il passo. Da un punto di vista militare ritiene di poter rendere ancora difficile la vita a Israele: non può fermate uno degli eserciti più potenti al mondo ma è in grado di infliggere perdite di uomini e mezzi al suo nemico. Più di tutto ha in mano gli ostaggi israeliani, una spina nel fianco del gabinetto di guerra guidato da Netanyahu. Non è un mistero che il ministro della difesa Yoav Gallant sia un fautore accanito dell’operazione militare sino in fondo e a ogni costo. Ma il desiderio di una porzione crescente di israeliani affinché tutti gli ostaggi siano riportati a casa con una trattativa, offre ad Hamas un’arma efficace per provare a costringere Netanyahu ad intavolare un negoziato più ampio sul cessate il fuoco permanente e la scarcerazione dei prigionieri politici (oltre 6mila) in carcere in Israele.

Se il movimento islamico dovesse ottenere la liberazione di importanti prigionieri politici risulterà vincente anche se sarà sconfitto militarmente a Gaza Ghassan Khatib

Arma che è apparsa evidente ieri quando i leader del movimento islamico hanno annunciato la sospensione della liberazione del secondo gruppo di ostaggi, 13 israeliani e 7 lavoratori asiatici in cambio della scarcerazione di 39 prigionieri politici palestinesi, in prevalenza donne e giovani. Una prova di forza in risposta, secondo alcune fonti, al no di Israele all’invio di aiuti umanitari significativi anche nel nord di Gaza. Ieri sera erano in corso trattative per rimettere le cose sui binari. Israele ha minacciato di riprendere la sua offensiva e ha intimato ai negoziatori di trovare una soluzione non oltre la mezzanotte, altrimenti, ha avvertito, riprenderà subito l’attacco a Gaza.

Israele sostiene che al Nord si troverebbero «solo» 150mila palestinesi, rimasti nelle loro case nonostante l’intimazione di allontanarsi subito e di andare al sud. E ha vietato agli sfollati di non tornare indietro. Invece al Nord ci sarebbero ancora diverse centinaia di migliaia di palestinesi che non ricevono aiuti e rifornimenti dall’inizio della guerra il 7 ottobre. La Mezzaluna rossa ieri ha inviato 61 camion carichi di medicine, cibo, acqua e altri generi di prima necessità nel governatorato settentrionale e a Gaza city. Ma occorre molto di più alle popolazioni locali che Israele vuole cacciare via da un territorio che, si dice, vedrà la costruzione di basi militari e, spera l’estrema destra, insediamenti coloniali.

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