Si risveglia all’improvviso la voglia di far luce sulla crisi sanitaria determinata dal Covid dopo mesi in cui la pandemia sembrava uscita dai radar. Mentre dalla procura di Bergamo arrivavano gli avvisi di garanzia – con un giorno di ritardo rispetto ai media – ieri anche il Parlamento ha iniziato a discutere sul serio della Commissione d’inchiesta sulla pandemia. Anzi, «delle» commissioni di inchiesta, visto che le proposte sul tavolo sono tre e portano le firme di FdI, Lega e Italia Viva. L’iter legislativo è iniziato ieri con le audizioni in commissione Affari sociali alla Camera.

Ripetutamente promesse in campagna elettorale, le proposte rispondono a sensibilità e obiettivi politici diversi. Quella di Fratelli d’Italia (primo firmatario Galeazzo Bignami, il sottosegretario che ama travestirsi da Hitler) si concentra sulla fase iniziale dell’emergenza. In particolare, sull’assenza di un piano antipandemico aggiornato dopo il 2006, nonostante gli impegni presi dall’Italia in sede Oms e Ue. Unica tra le tre, la commissione avrebbe una durata prestabilita di diciotto mesi.

La proposta firmata dal leghista Riccardo Molinari ha probabilmente il raggio d’azione più ampio. Riguarderà le mascherine cedute alla Cina prima ancora che il virus arrivasse in Italia e, in pieno stile Salvini, punterà il dito anche contro la solidarietà, visto che intende «indagare anche su eventuali donazioni». Sotto accusa anche la chiusura dei voli dalla Cina ritenuta troppo timida, i banchi a rotelle, la app «Immuni», i centri vaccinali «a forma di primula».

Infine, l’inchiesta del renzianissimo Davide Faraone punta l’indice su Giuseppe Conte e sull’ex-commissario straordinario Domenico Arcuri: la priorità andrà alla chiusura delle scuole, al rifiuto del fondo sanitario europeo Mes e ai ritardi e agli sprechi dell’avvio della campagna vaccinale.

Com’è evidente, molti di questi aspetti si sovrappongono con gli accertamenti dei pubblici ministeri di Bergamo e rischiano di generare più contraddizioni che chiarimenti. Sarà difficile sostenere allo stesso tempo la colpevolezza di chi non ha aggiornato il piano anti-pandemico – è l’accusa mossa a Ranieri Guerra da molte inchieste giornalistiche – e quella di chi non lo ha giudicato applicabile (il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Brusaferro).

Qualche indizio in merito lo ha già fornito ieri in audizione l’ex-dg della prevenzione sanitaria Donato Greco, responsabile del piano antipandemico del 2006. «Ritenere quel piano vigente 14 anni dopo la sua stesura è una stupidaggine» ha detto in Commissione. «Nel frattempo è cambiato lo scenario dell’epidemiologia mondiale. Sono cambiate le tecnologie. I tamponi molecolari erano riservati a pochissimi laboratori, non parliamo delle tecnologie vaccinali. E poi era un piano contro l’influenza, un virus completamente diverso. In quel piano non si parlava di distanziamento sociale e le mascherine erano previste solo per il personale sanitario».

Proprio sulle mascherine la commissione d’inchiesta potrebbe rivelarsi un boomerang per la maggioranza di centrodestra. Tutte e tre le proposte puntano a individuare chi abbia svuotato i magazzini alla vigilia del Covid. Negli atti della procura di Bergamo tuttavia si ipotizza che la responsabilità vada distribuita tra governo e regione. Gli indagati chiamati a risponderne in caso di rinvio a giudizio sono infatti Angelo Borrelli (ex-capo della Protezione Civile) e Claudio D’Amario, all’epoca dirigente al ministero della Salute. Ma con la stessa accusa sono citati anche l’ex-assessore Giulio Gallera e l’ex-dg della sanità lombarda Luigi Cajazzo, due uomini-chiave della giunta di Attilio Fontana.

In una prima versione dell’articolo, il dr. Ranieri Guerra è stato erroneamente citato tra le persone indagate dalla procura di Bergamo. Ci scusiamo con l’interessato.