Facciamo un’ipotesi: tra esattamente 12 mesi, la sera del 20 febbraio 2023, Donald Trump potrebbe cenare al Crossroads Food Pantry – Food Distribution Center, una cucina popolare che sta al 329 della 42° strada Ovest a Manhattan, appena una dozzina di isolati dalla Trump Tower. Oppure potrebbe aspettare il suo turno nella mensa di Rikers Island, la mega prigione sull’East River, tra Brooklyn e Queens. Se è molto fortunato, invece, potrebbe continuare a godersi il clima mite di Mar-a-Lago, la pacchiana villa di Palm Beach dove si trova attualmente. Ma dovrà essere molto fortunato.

Trump ha un gran bisogno di fortuna, in questo periodo, perché rischia la bancarotta, o la prigione per frode fiscale, o entrambe le cose. Potrebbe toccargli anche un processo per alto tradimento, come risultato delle indagini in corso sull’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021 ma su questo fronte le cose vanno rilento e il capo del dipartimento di Giustizia Merrick Garland sembra non avere alcuna fretta di trascinare l’ex presidente sul banco degli imputati. Di sicuro ha ben presente il fatto che l’unico processo simile in tutta la storia americana avvenne nel 1807 e l’imputato, l’ex vicepresidente Aaron Burr, fu assolto. L’amministrazione Biden, inoltre, aspetta di vedere i risultati delle elezioni per il Congresso in novembre per evitare di aprire un processo che potrebbe paradossalmente aumentare il seguito di Trump fra gli elettori repubblicani.

Al momento, per Trump sembra più pericolosa l’indagine della procuratrice di New York Letitia James, che potrà interrogarlo sotto giuramento nell’ambito di una causa civile sulle sue finanze. La sentenza di giovedì è stata solo l’ultima di una serie di insuccessi legali: da quando ha lasciato l’incarico, l’ex presidente è stato sconfitto nei suoi tentativi di bloccare le indagini della commissione del Congresso sull’attacco del 6 gennaio 2021 a Capitol Hill e di rovesciare i risultati delle elezioni presidenziali del 2020. Non solo: Trump potrebbe essere processato e condannato a un risarcimento danni nei confronti di poliziotti feriti nel corso dell’assalto, nell’ambito di una causa civile che l’altroieri un giudice di Washington ha deciso debba proseguire.
Tutto era iniziato l’anno scorso, quando la procura di Manhattan aveva incriminato separatamente la Trump Organization e il suo direttore finanziario, Allen Weisselberg, accusandoli di frode fiscale su questioni apparentemente minori. L’inchiesta si è poi ampliata per stabilire se Trump per decenni ha gonfiato in modo fraudolento il valore dei suoi beni immobiliari in modo da poter ricevere prestiti dalle banche a condizioni più favorevoli.

L’intera carriera di affarista di Trump è stata costruita sulle vanterie. Per esempio, nel 2014, i suoi commercialisti, lo studio Mazars Usa, valutava il suo patrimonio netto in 5,8 miliardi di dollari. Ma quando Trump annunciò la sua candidatura nel 2015, affermò di possedere ben 8,7 miliardi di dollari e, un mese dopo, addirittura «più di 10 miliardi di dollari». L’immagine del miliardario gli era necessaria per presentarsi come una specie di Re Mida, da ammirare per le sue capacità negli affari che prometteva di portare con successo anche in politica.
Le cose stavano molto diversamente, come si è visto nei quattro disastrosi anni della sua presidenza e ora la ruota della fortuna sembra aver smesso di girare a suo favore. Lunedì scorso la procura ha pubblicato una lettera in cui lo studio Mazars Usa affermava che le dichiarazioni finanziarie dell’ex presidente dal 2011 al 2020 non erano affidabili, aprendo potenzialmente la strada alla contestazione di decine di reati fiscali, che negli Stati uniti sono presi molto seriamente, al contrario dell’Italia, come scoprirono a suo tempo il celebre gangster Al Capone e il losco banchiere Michele Sindona.
Trump era stato indagato varie volte in passato ma se l’era sempre cavata, spesso con accordi extragiudiziali, come nel caso della sua farlocca Trump University. Oggi, però, l’inchiesta di Letitia James può contare sulla collaborazione di quello che è stato per decenni il suo braccio destro, l’avvocato Michael Cohen e su quintali di documenti che coprono anni di transazioni finanziarie dubbie.

Anche nell’ipotesi che le indagini non riescano a provare comportamenti penalmente rilevanti, la Trump Organization è piena di debiti, che potrebbero diventare esigibili molto presto: per esempio ce n’è uno di 100 milioni di dollari in scadenza quest’anno, garantito dalla Trump Tower sulla Fifth Avenue. Inoltre, i problemi penali di Trump si riflettono inevitabilmente sul valore del suo marchio: fino a ieri il brand attirava molti investitori, da domani potrebbe esserci un fuggi fuggi. Chi vorrebbe essere associato al nome di un presidente fellone, oggetto per due volte di una procedura di impeachment e a rischio di finire i suoi giorni in un penitenziario federale?