Tra le urla e i silenzi del governo
Legge di bilancio Sebbene il 23 settembre sia vicino, allorquando il governo dovrebbe discutere e presentare la NADEF (Nota di Aggiornamento del Documento Economico e Finanziaria), alla Commissione Europea e al Parlamento, il […]
Legge di bilancio Sebbene il 23 settembre sia vicino, allorquando il governo dovrebbe discutere e presentare la NADEF (Nota di Aggiornamento del Documento Economico e Finanziaria), alla Commissione Europea e al Parlamento, il […]
Sebbene il 23 settembre sia vicino, allorquando il governo dovrebbe discutere e presentare la NADEF (Nota di Aggiornamento del Documento Economico e Finanziaria), alla Commissione Europea e al Parlamento, il governo e il Ministro all’economia Giorgetti sono molto silenziosi.
Questo silenzio non è legato alla prudenza che si conviene quando si delinea la Legge di Bilancio, piuttosto alla difficoltà di coniugare i propositi politici e le risorse finanziarie realmente disponibili. Rispetto alla Legge di Bilancio e i così detti propositi dei partiti che governano il Paese, è anche caduta la mannaia dei tassi di interessi, cresciuti in misura spropositata rispetto agli obbiettivi di riduzione dell’inflazione che la BCE intende perseguire, innalzando di 14 miliardi di euro l’onere sul debito pubblico, a cui si deve aggiungere la minore crescita del PIL che farà aumentare inevitabilmente l’indebitamento netto. Sebbene la manovra economica fosse già difficile da delineare, questi due fenomeni (tassi di interesse e minore crescita del PIL) accrescono le difficoltà in modo esponenziale. Infatti, le risorse finanziarie disponibili nel triennio erano già molto scarse, più o meno tra i sette e gli otto miliardi di euro, che diventano ancor più contenute se consideriamo l’andamento del Pil e dei 14 miliardi aggiuntivi che il governo deve trovare per pagare gli interessi sul debito pubblico.
Al netto del nuovo Patto di Stabilità e Crescita europeo, che dovrebbe entrare in vigore nel 2024, che ripristina il vincolo del debito sebbene diluito su 7 anni, non solo il Paese subisce il “vincolo estero” dei mercati finanziari e sul rinnovo del proprio debito, ma deve misurarsi con un sistema economico che strutturalmente non può crescere quanto e come gli altri Paesi europei.
Probabilmente il dibattito pubblico, politico e financo sociale sarà catturato dalla ipotesi di ridurre le tasse, così come sarà catturato dalla disputa se la riduzione delle tasse, cuneo-imposte-detrazioni, sia o meno a favore a capitale e/o lavoro, ma questa discussione evita accuratamente di puntualizzare i nodi di struttura che costringono il paese in una minore crescita del Pil, a cui si deve associare una minore crescita dei salari e degli investimenti. Sentiremo spesso sostenere che occorrono incentivi per il salario o il capitale, come se la riduzione delle tasse fosse la politica economica.
C’è poi il nodo del PNRR; troppi bandi pubblici sono andati deserti. Una parte della pubblicistica giustifica questa débâcle alla concorrenza sleale del 110% per le case.
Una giustificazione più politica che reale. In realtà sono andati deserti anche i bandi a maggior contenuto tecnologico. La realtà è molto più difficile da digerire: una parte importante della struttura economica nazionale tecnicamente non può partecipare a questi bandi semplicemente perché non ha le competenze tecniche adeguate.
Non ho mai creduto molto alle contro finanziarie; spesso speculari a quella del governo, ma questa volta servirebbe un poco di ingegno per offrire al Paese un altro punto di vista.
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