Tra eco ansia e verde speranza. Anatomia dei Fridays for Future
Clima Identikit del movimento che immaginando il futuro ha cambiato la coscienza globale sulle sorti del Pianeta
Clima Identikit del movimento che immaginando il futuro ha cambiato la coscienza globale sulle sorti del Pianeta
Eco ansia: lo stato emotivo che nasce dalla consapevolezza che il mondo sta andando verso la catastrofe ambientale. Specie che scompaiono, eco-sistemi che collassano, migrazioni climatiche, aumento della frequenza e della portata degli eventi estremi. Insieme a rabbia, angoscia, rassegnazione e incertezza “ontologica” (come sarà “fatto” il mondo di domani?), l’eco ansia è davvero uno dei tratti del nostro tempo.
La si può combattere attraverso la de-negazione “io non sono contro l’ambientalismo, ma…”, meccanismo psicologico che trova riscontro in una comunicazione politica intrisa di negazionismo climatico, spesso a favore degli interessi consolidati. Durante il discorso di apertura della XIX legislatura, l’onorevole Giorgia Meloni ha affermato: “Non disturbare chi vuole fare”, e “Quello che ci distingue da un certo ambientalismo ideologico è che noi vogliamo difendere la natura con l’uomo dentro”.
Senso comune e discorso politico convergono sui presunti effetti sociali negativi delle politiche climatiche radicali e sull’incertezza della transizione: “Non ne sappiamo abbastanza”, viene spesso sostenuto. In realtà sappiamo molto di più di quanto siamo indotti a credere.
Il primo modello che stimava gli effetti del cambiamento climatico sul riscaldamento globale è stato pubblicato nell’ormai lontano 1970. Quel modello, così come quelli successivi, si sono dimostrati straordinariamente validi nel prevedere ciò che si è poi effettivamente verificato negli anni. Scenari plausibili sugli effetti della crisi climatica sono ben noti ai “grandi player”. Un caso noto è quello della Exxon, che ha condotto, decenni fa, ricerche all’avanguardia sul clima, per diventare poi una paladina del negazionismo climatico.
I “mercanti di dubbi” non mancano anche nel nostro Paese. Anche per questo, il futuro non è un pranzo di gala ma dipende dai rapporti di forza, dalla capacità di rappresentanza degli interessi e dalla costruzione di nuove forme dell’azione collettiva. Ciò che difetta non è la conoscenza scientifica, ma la volontà politica. La ragione è semplice: nessuno vuole pagare i costi della transizione e men che meno chi lo può fare, cioè i paesi più ricchi e gli individui più abbienti.
Ma non c’è solo l’eco ansia e la de-negazione: il movimento dei Fridays for Future alimenta la “speranza verde”. Cambiare è ancora possibile, posto che lo si voglia fare, ci dicono i Fridays.
Ma chi sono i membri del movimento? In quali posizioni politiche si riconoscono? Quali soluzioni prediligono? Abbiamo provato a rispondere a queste domande attraverso una survey on-line inviata a 484 componenti dei Fridays da marzo a ottobre 2022, raccogliendo 323 questionari (tasso di risposta 68%). Il quadro che emerge ci dice che si tratta di giovani, ma non di giovanissimi: l’età media di chi fa parte del movimento è 25 anni e la metà degli intervistati (valore mediano) non supera i 20 anni. Gli appartenenti sono a maggioranza femminile (64,8%) e residenti in tutto il Paese (42% centro-sud e 58% nord). La partecipazione politica è elevata: più del 50% ha votato alle ultime elezioni politiche e il 37% non lo ha fatto perché era ancora minorenne. Tra gli aventi diritto, solamente il 6% non ha votato. L’auto-collocazione politica è chiaramente orientata e le risposte si addensano verso la parte sinistra dell’asse, con il 79% che si colloca nell’intervallo 1-3. Per avere un termine di paragone, si consideri che la percentuale di italiani che si colloca nello stesso intervallo è pari al 23,6%.
La fiducia nelle istituzioni è bassa, in particolare per quanto riguarda i partiti politici (3,7 su scala 1-10), mentre viene accordato un maggior grado di fiducia alle istituzioni europee (5,7) e, soprattutto, ai gruppi ambientalisti (7,4). Per i Fridays, giustizia ambientale e giustizia sociale non sono disgiungibili: più del 60% dei rispondenti ritiene che la crisi climatica colpisca soprattutto i poveri e i marginali.
Speranza, dicevamo, non solo eco ansia: quasi il 90% infatti non concorda sul fatto che la crisi climatica sia senza soluzioni. Il contrasto al cambiamento climatico deve però evitare il cosiddetto “soluzionismo tecnologico”. A riguardo, la maggioranza non prende posizione circa l’affermazione che la crisi climatica sia risolvibile semplicemente attraverso l’invenzione e l’applicazione di nuove tecnologie (47% né in accordo né in disaccordo). Nel contempo, la maggioranza assoluta (76,7%) è convinta che “Si può fare affidamento sulla scienza moderna per risolvere i nostri problemi ambientali” e il 74,7% che “Il governo deve agire in base a ciò che dicono gli scienziati climatici anche se la maggioranza delle persone è contraria”.
Netta distinzione, quindi, tra conoscenza scientifica e ricerca di scorciatoie tecnologiche. La speranza per un futuro più verde si traduce nella sfiducia verso il mercato (più del 70% ritiene che i servizi pubblici e le industrie più importanti non dovrebbero essere gestiti dalle imprese private); nell’importanza attribuita a politiche redistributive (circa il 50% concorda che il governo dovrebbe ridistribuire il reddito da i più abbienti ai meno abbienti), nelle sovvenzioni pubbliche pro-rinnovabili (quasi l’80% è d’accordo nell’usare il denaro pubblico a questo scopo) e nell’aumentare le tasse sui combustibili fossili (60% d’accordo). Quasi il 60% vorrebbe una legge che proibisca la vendita degli apparecchi a più bassa efficienza energetica. I Fridays for Future esprimono una domanda per un futuro più giusto e più verde, in attesa di un’offerta politica capace di soddisfarla.
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